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Un fiume, l’amore ai tempi del colera: la fase 2 fra Márquez e Eddie Vedder

“L’amore ai tempi del colera” è un grande classico di argomento pandemico, uno di quei libri che nei giorni del lockdown è stato indicato come la lettura perfetta, tanto da essere rientrato prepotentemente in tutte le classifiche di vendita. Per l’argomento trattato, l’ambientazione e lo stile non mi è sembrato subito facile trovare qualcosa di adatto nella mia discografia: Colombia, inizio Novecento, pandemia.

Poi il collegamento è venuto quasi naturale, con l’ansia del possibile contagio e il titolo della canzone che chiude il disco: “River Cross”, da “Gigaton”, l’ultimo album dei Pearl Jam. Perchè in effetti García Márquez ci lascia con un battello sul fiume e quelle ultime parole a chiudere il libro: “Per tutta la vita”.

“L’amore ai tempi del colera” è la storia di un uomo e una donna, o forse ancora di più è un grande inno all’amore sensuale, in tutte le sue età e in tutte le sue forme.

Il protagonista Florentino Ariza si innamora di Fermina Daza da adolescente ma lei, dopo un’iniziale apertura, lo rifiuta senza motivi apparenti. Lui si promette che un giorno la conquisterà e l’occasione arriva già nel primo capitolo, in cui García Márquez mette nero su bianco la traccia principale della storia: se dovrà essere amore fra loro, sarà amore senile. Ci racconta infatti di una Fermina Daza settantenne e della morte accidentale del marito, il dottor Juvenal Urbino, in un incidente domestico. Florentino compare alla veglia funebre e, in un misto di eleganza e determinazione, mentre la donna è ancora vestita a lutto, le ricorda che l’ha sempre amata e lascia intuire che farà di tutto per averla.

Da lì comincia un lungo flash back sulle loro vite, iniziato circa cinquant’anni prima con il gran rifiuto. Se vi aspettate un Florentino Ariza eremita in attesa di Fermina Daza vi sbagliate di grosso: il numero di donne che incontra nella vita fa raccapricciare i comuni mortali.

Ogni episodio d’amore è descritto con maestria da García Márquez: la sensualità è in primo piano, ma c’è anche la consapevolezza che nessun desiderio del corpo potrà mai sostituire il vero amore.

È davvero ammirevole il modo con cui l’autore descrive le donne: anche quelle che cedono più facilmente ai piaceri del corpo non vengono mai giudicate, semmai compatite nei loro dolori. Quelle più determinate, come Leona Cassiani (vera amica di Florentino, ma mai di letto) sembrano invece fare da preludio a una società in cui i diritti fra i due sessi dovranno equipararsi.

Fermina Daza è a metà del guado, fra passato e presente. Lei, dal canto suo, passa una vita protetta ma in fondo infelice: il dottore che ha sposato è una brava persona, sembra rispettarla, ma oltre alla sicurezza c’è poco altro. Né vera sensualità, né vero amore.

Le pagine scorrono una dietro l’altra fra capitoli lunghissimi e lineari, descrizioni mai noiose e la certezza per il lettore che il destino scritto deve per forza compiersi, in un modo o nell’altro. Ciò accade su una barca battente la bandiera dei colerosi, con solo loro due a bordo, dopo più di conquant’anni d’attesa.

Il colera fa parte dell’ambientazione del romanzo, in cui viene vissuta una sorta di eterna “fase 2” del contagio, per dirla con i nostri giorni.

La città è calda di clima e di tumulti: non siamo infatti lontani dagli anni dell’indipendenza della Colombia dalla Spagna. La malattia si affaccia ogni tanto come una minaccia, un qualcosa con cui i personaggi sembrano aver imparato a convivere, tanto che nella pagina finale proprio il colera diventa la scusa perfetta, che mai nessuno potrebbe mettere in discussione, per non fare scendere Florentino e Fermina dalla barca sul fiume. Noi lettori in pratica li lasciamo così, in un’eterna e voluta quarantena.

“When the past is the present and there’s future no more, every tomorrow is the same as before”.

In “Dance of the Clairvoyants”, primo singolo dell’ album “Gigaton”, uscito durante il primo lockdown del 2020, i Pearl Jam sembrano avere lanciato una previsione sui nostri tempi. Non c’è più presente, passato e futuro se ogni domani sarà uguale ad oggi.

Ho pensato a quanto suoni sinistra questa strofa per noi e quanto invece sia perfetta per Florentino e Fermina, che ormai giunti alla fine della loro vita, vorrebbero congelare il tempo sulla nave.

Le altre canzoni dell’album sono un riferimento per niente distopico al riscaldamento globale, che oggi sembrano adattarsi benissimo all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. La prima parte del disco è rock puro, tranne la divagazione stile Peter Gabriel del brano che ho appena citato, mentre la seconda va su atmosfere più rilassate, semi acustiche.

Credo che anche un ascoltatore distratto sappia cosa è in grado di produrre la voce di Eddie Vedder a queste latitudini: sensualità, senso di urgenza e la stessa profondità che un grande scrittore come Garcia Márquez mette nelle parole.

Il finale dell’album è su un fiume, con quella “River Cross” suonata con un organo da chiesa, come il cantante ha fatto da casa sua durante il recente “concertone” digitale “One World Together at Home” del 30 aprile 2020.

I Pearl Jam ci lasciano sull’argine di questo fiume ad osservare una storia, la nostra storia, proprio come fa Garcia Márquez, che era figlio di una clairvoyant, una chiaroveggente.

Come dice Eddie Vedder: “io amo le chiaroveggenti, perché sono fuori da questo mondo”. Vedono e immaginano cose a cui noi umani non potremmo mai pensare. E con esse, i loro figli.

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