Shining è entrato nell’immaginario collettivo per il film capolavoro di Stanley Kubrick: tutti lo associamo all’espressione di Jack Nicholson, alla scena del bagno con l’accetta, all’inseguimento del bimbo nel labirinto sotto la neve, alla frase “Il mattino ha l’oro in bocca” scritta su centinaia di pagine.
La grandezza del regista inglese, però, è anche quella di partire da romanzi “potenzialmente cult” per un certo tipo di pubblico, dal Dick di “2001 Odissea nello spazio”, al Burgess di “Arancia Meccanica” fino allo Stephen King di “Shining”. Anche in questo ha mostrato un intuito fuori dal comune, quasi da talent-scout.
Come nei casi degli altri romanzi, anche per “Shining” cambia pochissimo, se non il finale, che viene reso più adatto ad una resa cinematografica. Per il resto, seppur da regista affermato, riesce a rispettare le atmosfere e la trama pensata da un giovane Stephen King.
In questo libro ci sono già dei punti in comune con quello che King racconterà nei suo lavori successivi: uno scrittore in crisi, le forze del male che si insinuano nel cervello del protagonista, il ruolo dell’infanzia come età inquietante e piena di paure, una propensione al soprannaturale.
La scrittura di King è un fiume in piena ed è talmente ricca di particolari da poter essere già di per sé una sceneggiatura.
Non sono solo i dialoghi e i paesaggi a colpire, quanto il senso di angoscia che pervade il lettore nella progressiva follia del protagonista, Jack Torrance. Quelle stesse forze del male a cui il figlio Danny riesce a resistere si impossessano progressivamente del padre, che diventa capace di fare del male a suo figlio.
Non è mai stato un genitore perfetto, ma nel libro traspare molto più amore verso il figlio rispetto al film, dove Nicholson sembra già oggetto di follia in partenza. Il lettore lo percepisce: quello che vuole sterminare la famiglia non è davvero più Jack.
A volte si fa l’errore di dare per scontato il romanzo, di fronte a un film così importante: sarebbe un errore. Leggerlo non è solo un gioco di differenze, ma fa capire come il libro vive già di una propria importante dimensione.