Camilleri l’italiano e Johnny Cash l’americano: conversazioni a teatro

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Teatro Greco di Siracusa, un giorno di Agosto del 2020

M: Eccola qua Viviana, la strana coppia. Andrea Camilleri e Johnny Cash. Scommetto che ti chiedi già cosa c’entrano l’uno con l’altro.

V: Con i tuoi collegamenti spesso mi stupisci. Non so tutto della vita di Camilleri, ma di certo so ancora meno di Johnny Cash. So che Camilleri c’entra molto con il luogo in cui ci troviamo, ma di certo non mi immagino un cow-boy americano con cappello e sigaro cavalcare fra queste rovine millenarie. Magari un po’ più su di qui, nell’entroterra siciliano. Ecco, lì si potrebbe trovare uno scenario adatto per un film di pistoleri.

M: Arguta osservazione. I film del cosiddetto genere spaghetti western, quelli di Sergio Leone per capirci, venivano girati spesso in terre aride, come la Sardegna. Potrebbe starci bene  anche la Sicilia. E’ piuttosto l’immagine di Johnny Cash come semplice cow-boy che sta un po’ stretta. L’ho sempre pensato, ma adesso lo dico con cognizione di causa, visto che sono fresco di lettura della biografia di Cash scritta da Steven Turner.

V: Io non capisco molto di generi musicali, ma quando lo metti su… quella è musica country, dai! In che altro modo la vorresti chiamare?

M: Si, in effetti Cash come formazione è un artista folk e country. Sai che due suoi album marcatamente country sono stati registrati in due famigerate prigioni statunitensi, Folsom e San Quintino? Le grida che senti quando faccio girare quei dischi non sono del pubblico che assiste ad un suo live. Cioè, tecnicamente si, quello è il pubblico, solo che il concerto si svolge in carcere e le urla spesso interrompono le canzoni, non sono ovazioni che arrivano alla fine. La scena finale del film “The Blues Brothers” è un omaggio a questi storici LP. John Belushi però canta “Jailhouse Rock” di Elvis Presley, che non era propriamente il miglior amico di Johnny Cash, nonostante provenissero entrambi dal Sud degli Stati Uniti.

V: Sud. Forse ho sentito la prima parola che mi suggerisce un legame fra i due. Camilleri uomo del profondo Sud. Della Sicilia ha saputo descrivere i colori, i dolori, l’umanità, i modi di dire e di essere. Ha sempre mostrato il bene della mia (e sua) terra con garbo e amore, ma ha saputo dipingere il male con fermezza e discrezione. Non è semplice. Pensa ai mafiosi che girano intorno alle storie di Montalbano: ci sono, mettono lo zampino su tutto, ma non sono mai così in primo piano da impedire le nuotate del Commissario. Come se quella brutta gente non meritasse tanta importanza.

M: Le conosco bene, quelle nuotate. Ne ho fatta una proprio lì, la scorsa settimana!

V: Quanto eri “priato”! Che sai bene che significa “contento”… Camilleri mi ispira il dialetto 😉

M: Eccome se lo ero! Comunque è vero: il primo legame fra loro è nell’essere del Sud. Però non ho abbastanza conoscenza del Sud degli Stati Uniti per sapere come e quanto si possa avvicinare agli usi e costumi del nostro Sud Italia. Una volta ricordo un’intervista a Micheal Stipe, il cantante dei R.E.M., che in occasione del mitico concerto di Catania del 1995, ricordò a tutti orgogliosamente di essere un uomo del Sud e che non c’era nulla di più lontano dallo stile di vita della piccola cittadina della Georgia in cui erano cresciuti rispetto a New York. Un po’ come paragonare Vigata a Milano, se vogliamo. Cash viene da un piccolo paese dell’Arkansas, dove è nato nel 1932 da una famiglia molto religiosa. Nella sua educazione il rispetto della tradizione è un pilastro inossidabile.  Un po’ come per Camilleri, che pur essendo un uomo di larghe vedute ha saputo mantenere fortissimi i legami con gli usi e costumi della sua Sicilia.

V: Ho sempre sentito dire però che gli stati del Sud degli Stati Uniti sono razzisti. Noi siciliani semmai la discriminazione l’abbiamo subita, specie quando ci siamo spostati nel Nord Italia per lavoro.  Oggi in Sicilia sento epiteti che non mi era mai capitato di sentire da bambina, forse perché immigrati non ce n’erano. Alla fine esiste sempre un Sud del Nord, e viceversa. Non so dove l’ho sentita questa frase ma mi è sempre piaciuta. Il razzismo può arrivare ovunque, anche dove meno te lo aspetti.

M: Lì dove è cresciuto Cash te lo aspetti, eccome. Nella sua biografia sembra che il razzismo della società in cui cresce, a partire dalla sua famiglia, non venga mai completamente esplicitato proprio perché implicito. Lui non compose mai canzoni neanche vagamente razziste: parlava spesso di uomini intenti a faticare per mantenere la moglie e i numerosi figli nell’ America rurale del dopoguerra. Uomini bianchi, implicitamente. Raccontava di lavoro, sudore, dolore, ma mai puntando il dito verso una razza o una tribù. A volte fu talmente credibile nell’ immedesimarsi nel “diverso” di turno, che scrisse pure canzoni su dei capi indiani. Alcuni non la presero bene: addirittura gli si schierò contro il Ku Klux Klan.

V: Questo è un aspetto che Camilleri avrebbe sicuramente apprezzato. Conosciamo i suoi punti di vista sulla società, dagli abusi di potere di chi porta una divisa ai flussi migratori, temi che più attuali non si può in questi giorni. Montalbano sa essere un capo autoritario, ma è straordinariamente caritatevole e misericordioso con chi ha bisogno. Ricordo ad esempio il caso del piccolo Francois, il migrante che aiuta appena sbarcato ma a cui non può evitare un destino da criminale. Lui e Livia mostrano la vera carità cristiana come dovrebbe essere, tutto il contrario di chi va a messa la domenica ma è pronto a trattare male il primo uomo di colore che incontra per strada. Se si parte da questo punto di vista, è paradossale che Camilleri  fosse ateo e che nei suoi libri ci siano pochi accenni alla religione.

M: Tutto il contrario di Johnny Cash. Cresciuto in una famiglia battista, era fortemente credente e passò tutta la vita sulla necessità di conciliare il suo successo personale con il messaggio di Cristo. Un bel dilemma, lo stesso che ebbero molti anni più tardi Bono e gli U2. Non solo: gli eccessi delle droghe e gli stravizi di una vita passata premendo il piede sull’acceleratore portarono molte volte Cash ad allontanarsi da quegli insegnamenti. Eppure sembrava più forte di lui: quando tutto era perduto, quando il buio della notte sembrava definitivo, arrivava la fede a salvarlo. Pensa che diventò addirittura reverendo.

V: Credo che Camilleri avrebbe rispettato i tormenti dell’uomo senza capirli fino in fondo, se avesse avuto modo di conoscere la storia di Cash. Però il fatto di tendere la mano agli “ultimi” è un messaggio davvero cristiano. Suonare per i carcerati come indirizzare i migranti. Un po’ come dire che non si nasce buoni o cattivi, è la società che spesso porta a fare delle scelte e che quindi c’è una possibilità di redenzione per tutti.

M: Ahahaha, fra poco arriverai a definire Camilleri religioso! Occhio che poi ti viene a punzecchiare i piedi di notte, con la sua voce inconfondibile voce rauca… “Ma che minchia dici, Viviana?”. E questa volta non sarei io ad imitarlo, ma il fantasma del maestro in carne e spirito!

V: No, ma che c’entra. So bene che si è fatto seppellire in un cimitero ateo a Roma, quindi è stato fedele alla sua visione anche dopo la morte. Però anche se non si è credenti si può trovare qualche tratto comune ad una dottrina religiosa nelle proprie azioni, oppure no?

M: Certo, certo. Scherzavo sai: sono certo che il maestro Camilleri avrebbe ascoltato molto volentieri i nostri discorsi, anche solo per dissentire. D’altronde se arrivi come lui ad avere un così grande seguito popolare, sia nel pubblico che guarda Montalbano in TV che fra i suoi lettori, vuol dire che sai argomentare bene le tue posizioni. E non sto parlando di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, se mi sono spiegato. Quello non mi è mai sembrato proprio di Camilleri.

V: Si, se sai argomentare e non manchi di rispetto a chi non la pensa come te, non vedo quale possa essere il problema di essere o meno credente o di un certo orientamento politico piuttosto che un altro. Se non fosse stato un cantastorie capace di parlare a tutta la nazione, di certo la fiction di Montalbano non sarebbe passata su Rai Uno, ma su qualche rete privata.

M: Cantastorie, che bel termine hai usato! Sai che Johnny Cash veniva chiamato il “cantastorie della tradizione”?  All’inizio della nostra chiacchierata hai detto che era un cantante country. Sarebbe come definire Camilleri uno scrittore dialettale. Entrambi hanno saputo parlare alle loro rispettive nazioni non solo tramite la loro arte (musica e letteratura), ma anche con i mezzi di comunicazione di massa, come la TV. Il Montalbano in prima serata su Rai Uno è equivalente al “Johnny Cash Show” che teneva incollata tutta l’America al piccolo schermo negli anni ’70. Ok che il country è musica tradizionale in America, ma da solo non sarebbe bastato.

V: Personaggi che hanno saputo varcare i confini del loro Sud per parlare a una nazione intera. Poeti che hanno raccontato il loro mondo fino a farlo diventare quello di tante persone provenienti da mondi diversi. Camilleri l’italiano e Johnny Cash l’americano.

M: Hai visto allora che bei collegamenti? Ma c’è l’ultimo, quello più emozionante, quello per cui ci troviamo in questo teatro oggi.

V: Non spunteranno all’improvviso cavalli e pistoleri?

M: No, tranquilla. Non qui. E’ qualcosa che c’entra con la mente e il corpo. Nonostante sia Camilleri sia Johnny Cash siano stati giovani, l’immaginario collettivo se li figura vecchi e deturpati fisicamente. Camilleri in “Conversazione su Tiresia”, seppe mettersi nei panni del cantore cieco proprio sul palco di questo teatro, lui che cieco era diventato davvero. Johnny Cash, ormai sfinito dal diabete e da innumerevoli altri guai fisici, negli ultimi anni della sua vita realizzò i dischi più belli della sua carriera, entrando in studio di registrazione anche pochi giorni prima di morire.

V: Camilleri ha scritto sempre, fino all’ultimo. Lui stesso si era definito un impiegato della scrittura: ogni mattina alle sette in punto, sbarbato e profumato, si metteva in postazione e iniziava a battere le dita sulla tastiera. Lo ha fatto fino alla fine, come se non ci fosse stata scelta: la sua vita non poteva esistere senza la scrittura. Finché ha avuto un alito di vita, ha scritto. E meno tempo gli restava, più scriveva. Normale, se ci pensi: è l’urgenza di chi sa che il tempo stringe.

M: Lo stesso ha fatto Johnny Cash. Nell’ultima fase della sua vita ha cantato quello che ha voluto, come ha voluto. Ha incantato il pubblico giovane del festival di Glastonbury, ha stregato U2 e Bruce Springsteen, nello stesso modo in cui Camilleri ha incollato allo schermo mezza Italia recitando Tiresia durante le rappresentazioni classiche di Siracusa. Cieco, sfinito, eppure ancora vivo con la sua arte.

V: Che personaggi, questi due. Peccato non si siano mai conosciuti.

M: Si sarebbero piaciuti e ispirati a vicenda, ne sono certo.

V: Sono convinta lo stiano facendo proprio adesso, in un teatro come questo. Da qualche parte, in qualche luogo.