Daisy Jones and The Six: you can go your own way

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Oggi è un angolo dei vinili in cui si celebra il rock classico, ma anche uno dei libri che ci ha fatto più emozionare in questo strano 2020. Una di quelle storie da cui è difficile staccarsi, perché i due protagonisti entrano dentro come una seconda pelle, con il loro fascino, il loro genio, la loro musica.

Avete presente i documentari sui gruppi rock in cui i componenti della band, in momenti e luoghi diversi, raccontano a un intervistatore la loro versione della storia? Tante voci che si uniscono parlando di aneddoti, spezzoni di vita, curiosità. O semplicemente del loro punto di vista su come sono andate le cose. “Daisy Jones and The Six” di Taylor Jenkins Reid ha questa forma di narrazione: pura cronaca, con le testimonianze dei musicisti (e non solo) cuciti insieme dall’autrice, che si cala nel ruolo di giornalista.

The Six sono un gruppo sulla breccia a metà anni ’70, grazie al talento immenso di Billy Dunne. Una spanna sopra gli altri nella scrittura e composizione della forma canzone, porta la sua band alle porte dell’Olimpo degli dei della musica. Per varcare la soglia ed entrare definitivamente nel mito, serve una metà perfetta: i produttori individuano la spinta decisiva in Daisy Jones, la cantante più ribelle della scena americana, un diamante grezzo a cui manca qualcosa per brillare definitivamente.

L’unione di Billy e Daisy è una bomba ad orologeria. Sono due personalità straripanti, poco disposte a sentire gli altri e insicure di ogni cosa tranne che della propria arte.

Molti nell’ambiente musicale pensano che non sarebbero durati un solo giorno in sala registrazione. Gli inizi non sono certo incoraggianti. Daisy viene vista come un corpo estraneo alla band, un elemento che l’avrebbe fatta snaturare: in realtà Billy e Daisy trovano un’intesa artistica che si consolida sempre di più, fino a che non scatta la scintilla anche a livello personale. Difficile per loro tenere separate arte e vita.

Ed è qui che il racconto prende la sua piega migliore. Billy è sposato, padre di tre bambine, e ha combattuto una vita intera per tenere l’alcol fuori dalla sua vita e contro la paura di sentirsi un genitore inadeguato, come è stato suo padre che lo abbandonò da piccolo. Ma soprattutto c’è la moglie, Camilla: una figura di donna forte che sa accompagnarlo nei momenti di sbandamento e tenere le redini non solo della famiglia, ma in un certo senso anche della band. Daisy invece è una ragazza bellissima e ammirata da tutto il mondo, eppure nessuno è più solo di lei. Sempre più ostaggio delle droghe e delle proprie ispirazioni, non può finire che per innamorarsi dell’unico uomo che non avrebbe mai potuto avere. Nel momento in cui Billy si trova vicino alla capitolazione, che per lui non significa solo cedere a Daisy ma attaccarsi di nuovo alla bottiglia, lo salvano l’autodisciplina e il ruolo di Camilla, che è tutto meno che invadente.

La dicotomia fra l’effimero mondo del rock e la famiglia tormenta Billy in ogni momento della sua vita: ma è forse questo “equilibrio sopra la follia” che alimenta la sua arte (e quella di Daisy) come una linfa vitale.

Ci sono passaggi raccontati in prima persona che toccano le corde dell’anima, come quello in cui Billy e Daisy escono allo scoperto, dicendo di sapere di essere fatti l’uno per l’altro ma che questa è destinata a restare solo un’idea. Il modo in cui cantano insieme, in tv o ai concerti, porta il lettore in quegli anni e pare proprio di vederli lì, davanti ai nostri occhi, come abbiamo visto tante volte Stevie Nicks e Lindsey Buckingham. Si, perché l’angolo dei vinili oggi è venuto proprio facile: basta leggere un paio di interviste all’autrice per capire che proprio la storia e la musica dei Fleetwood Mac le hanno dato ispirazione per  scrivere quelle del gruppo immaginario Daisy Jones and The Six.

Eppure, come per i Fletwood Mac, sembra tutto incredibilmente vero, a partire dal tormentato rapporto fra Nicks e Buckingham che fu florido di successi discografici ma portò a tantissimi problemi nella band, fino all’uscita del chitarrista. Lo stesso avviene per Daisy Jones and The Six, dopo un concerto del 1979, mentre sono all’apice del successo con il loro album “Aurora”, pietra miliare della storia del rock.

Non era facile coinvolgere il lettore con uno stile narrativo fatto di frammenti di interviste: la Reid c’è riuscita, riservando momenti di puro sentimento a colpi di scena. L’ultimo riguarda proprio lei, ovvero la giornalista che ha raccolto tutte le testimonianze: quando scopriremo chi è veramente, il cerchio sarà chiuso del tutto.

Una storia di rock che ci fa vivere i contrasti di due grandi artisti nello stesso gruppo, ma anche i sentimenti contrastanti di chi viaggia su quel treno da comprimario. Quante volte dei nostri gruppi preferiti ci ricordiamo il nome del cantante o del chitarrista, ma non di tutti gli altri: Taylor Jenkins Reid dà voce a tutti, a partire da Graham, fratello vissuto all’ombra di Billy ma sempre con grande dignità. La sua appassionante ma difficile storia con Karen, tastierista del gruppo, è la vicenda parallela che scorre al triangolo Billy-Daisy-Camilla.

Donne che scelgono, sospese fra l’indecisione e una sicurezza di facciata, ma che tirando le somme sanno di aver preso la strada giusta nella vita, perchè qualsiasi altra decisione avrebbe portato all’autodistruzione.

Nessuna di loro si odia, neanche Daisy e Camilla; l’ultima pagina, l’ultima mail di Camilla, è davvero un colpo al cuore.

“Daisy Jones and The Six” è un libro perfetto per chi non ha necessariamente il rock nel sangue, ma ama le storie fatte di persone. Per chi invece quel demone ce l’ha dentro, è praticamente impossibile non farsi conquistare da queste pagine, perché sembrano un po’ la sintesi di tutto quello che abbiamo letto e sognato di tanti gruppi rock nella storia. Grandi artisti che si sono amati e odiati, che hanno mischiato arte e vita per una parte del loro percorso, prima di prendere ognuno la sua strada. “Go your own way”, come cantavano Stevie Nicks e Lindsey Buckingham. Giusto così, nient’altro da aggiungere.

Loving you
Isn’t the right thing to do
How can I ever change things
That I feel
If I could
Maybe I’d give you my world
How can I
When you won’t take it from me
You can go your own way
Go your own way
You can call it
Another lonely day
You can go your own way
Go your own way
Tell me why
Everything turned around
Packing up
Shacking up is all you want to do
If I could
Baby, I’d give you my world
Open up
Everything’s waiting for you
You can go your own way
Go your own way
You can call it
Another lonely day
You can go your own way
Go your own way
You can go your own way
Go your own way
You can call it
Another lonely day
Another lonely day
You can go your own way
Go your own way
You can call it
Another lonely day
You can go your own way
You can call it
Another lonely day
You can go your own way
(Go Your Own Way – Fletwood Mac)