Non lasciarmi: inquietante fino all’ultimo ciclo

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Non sapevo davvero cosa aspettarmi da Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, Premio Nobel per la Letteratura 2017, non solo perché non è mia abitudine leggere le trame e le recensioni approfondite prima di imbarcarmi in un libro, ma anche perché credo si tratti del mio primo romanzo distopico, visionario e surreale allo stesso tempo.

Ho iniziato con altissime aspettative; dopo le prime 20 pagine non capivo dove fossi finita e soltanto verso la fine, quindi dopo tantissimi interrogativi e tanta fatica, ho capito dove volesse portarmi questo autore giapponese di origine, vissuto sempre in Inghilterra.

E l’Inghilterra è il luogo in cui avvengono le vicende raccontate da Kathy, la protagonosta nonché narratrice instancabile della sua storia e di quella dei suoi “simili”.

NON LEGGETE QUESTO PEZZO SE NON VOLETE CONOSCERE LA STORIA ( e vi consiglio infatti di saltare e andare avanti, dove vi dico…).

Ci ho messo un po’ a capire il significato di “assistente” (è così che si presenta Kathy sin dalle prime pagine) e donatori, ma soprattutto ho capito solo a oltre metà libro che di fronte avevo la vita NON di persone normali (per un attimo ho pensato a malati terminali) ma di CLONI e quindi di persone create appositamente (anzi, direi, duplicate da modelli), per la donazione degli organi.

Una cosa terribile. Quando me ne sono – finalmente – resa conto, sono rimasta così interdetta che ho vacillato e considerato anche l’idea di abbandonare la lettura, confinando il libro tra i non letti della mia libreria. Per fortuna è emersa la curiosità e soprattutto la volontà di scoprire dove volesse andare a parare il caro Ishiguro.

OK, DA QUI NON SVELO NESSUN PARTICOLARE COMPROMETTENTE

Qual è il messaggio profondo? Dove porta la bellissima scrittura di Ishiguro? Si, perché una cosa va detta: il libro è scritto benissimo e le tantissime descrizioni particolareggiate di ogni pensiero e situazione, scorrono veloci come in una danza ben ritmata.

Innanzitutto, l’ho detto anche a proposito di altri libri: adoro quando il titolo è tratto da un particolare contenuto all’interno dello stesso libro. In questo caso “Non lasciarmi” è il titolo della canzone preferita di Kathy, Never let me go di Judy Bridgewater. Una canzone che ha un ruolo quasi centrale nella vita della narratrice, fulcro di ricordi e di un mistero che verrà svelato alla fine.

Per quanto riguarda il significato, questa la mia considerazione: una qualsiasi vita presente sulla terra, non può NON avere dei sentimenti. Chiunque ha bisogno di trovare le sue origini, il senso della sua esistenza, il suo passato. Pensare di poter negare tutto questo, come accade a chi – in Non lasciarmi – ha ideato il progetto, non è tra le reali possibilità, anche a fronte di una vita perfetta e senza sbavature, in strutture offrenti cultura ed educazione, in un mondo quasi finto che però non ammette proroghe o cambiamenti.

E’ tutto stabilito.

Ed è stato, quindi, altissimo il senso di claustrofobia che ho sentito, tra una pagina e l’altra. E’ stato pesantissimo provare il senso di abbandono e ineluttabilità di un destino già deciso e al quale non potersi ribellare. E’ stato speranzoso fino all’ultimo il mio spirito, credendo in un lieto fine o comunque in un risvolto che potesse regalare una vera gioia a Kathy, Tommy e Ruth (i protagonisti principali) che dovranno invece solo arrendersi all’evidenza e soprattutto a spiegazioni che fanno crollare ogni loro illusione.

Trovare un “proprio possibile” è descritto benissimo in questo pensiero:

“La prima volta che cogli l’immagine di te attraverso gli occhi di una persona simile, è una sensazione tremenda. E’ come passare davanti a uno specchio al quale sei passata ogni giorno della tua vita, e che all’imprivviso riflette qualcos’altro, qualcosa di strano e inquietante”

Inquietante, quindi, lo dice anche Ishiguro.