LOADING

Digita il termine di ricerca

L’album bianco di Steve Jobs

Proprio in questi giorni sono passati 10 anni dalla morte di Steve Jobs e uno in più dal lancio di iPad, avvenuto in un periodo in cui tutto ciò che proponeva sul mercato diventava automaticamente il prodotto più rivoluzionario mai visto o, per dirla in termini informatici, la killer application, lo strumento in grado di annientare in un colpo solo tutta la concorrenza.

I film e i documentari usciti negli anni successivi hanno contribuito ad alimentare il mito di Steve Jobs come uomo totalmente assorbito dal proprio lavoro: geniale, visionario, affascinante ma a tratti brutale nei confronti dei propri collaboratori. Il libro di Walter Isaacson racconta la sua epopea meglio di ogni altro, dalle “discese ardite alle risalite”, per dirla sempre in musica: nei quaranta colloqui avuti con Steve Jobs sono stati toccati molti argomenti, anche scomodi: la fondazione della Apple in un garage, i primi Mac, la rivalità con Bill Gates, gli errori madornali che lo hanno portato fuori dall’azienda che aveva fondato per poi essere chiamato a salvarla alcuni anni dopo. In questa storia tutta americana non mancano gli aspetti dello Steve Jobs intimo: i rapporti con le donne, quello conflittuale con la figlia Lisa, le manie, i gusti gastronomici e le poche passioni oltre la dedizione calvinista al lavoro.

Fra queste, un amore eterno che fu anche fonte di ispirazione: la musica dei Beatles.

Steve Jobs apprezzava la discografia completa del gruppo di Liverpool e in più punti del libro dice che spesso teneva le loro canzoni in sottofondo nel suo ufficio. Anche noi siamo sensibili al fascino dei fab four e infatti abbiamo diversi dischi in casa che sicuramente piacevano al fondatore della Apple: dovendo però sceglierne uno da abbinare per il nostro angolo stranamente non abbiamo avuto dubbi. Guardate la copertina del “White Album” (o meglio di “The Beatles”, perché l’album in realtà è senza nome), le lettere del nome del gruppo poste in leggero rilievo, le foto di John, Paul, George e Ringo inserite all’interno del doppio vinile, i titoli delle canzoni scritte con font minimale, lasciando predominanza al bianco. Non sembra un concept pensato da Steve Jobs in collaborazione con il geniale capo del design della Apple, Jony Ive, l’uomo con cui ha creato le linee dei prodotti che amiamo e fanno parte della nostra vita quotidiana? Ironia della sorte, sul supporto in vinile compare proprio una mela, perché Apple era il nome della casa di produzione che aveva sotto contratto i Beatles molti anni prima della fondazione dell’omonima azienda da parte di Jobs e Wozniak.

I brani contenuti all’interno di uno degli album più importanti della storia del rock non è difficile immaginarli scritti per le visioni di Steve Jobs: “My Guitar Gently Weeps” per il suo carattere lunatico, “Back in the USSR” per quella Russia lontana in cui sarebbe presto presente con i suoi prodotti e negozi, “Dear Prudence” perchè forse in certe occasioni un po’ di calma gli sarebbe servita e “Blackbird”, visto che in fondo tutti ci ricordiamo Steve Jobs come una figura magra, una sorta di “uccellino” in dolcevita nero.

Poi “Revolution”… beh qui è facile, basta pensare a tutti i prodotti Apple che oggi usiamo e che sono stati creati da lui.

Più di tutti ci piace pensare alla grinta di “Helter Skelter”, a quella strofa in cui dice “when i get to the bottom i go back to the top of the slide”, perché se c’è una persona che nella vita e nel lavoro ha conosciuto successi incredibili e fallimenti altrettanto importanti è proprio Steve Jobs. Siamo certi il brano lo abbia aiutato in molte scelte, altro che il serial killer Charles Manson, che dopo la strage di Bel Air in cui nel 1969 uccise anche l’allora moglie del regista Roman Polanski, Sharon Tate, scrisse col sangue sul muro proprio il titolo di questa canzone.

Non vogliamo però soffermarci su muri sporchi e storie terribili: qui parliamo di superfici bianche e pure, di arte e di dettagli, dell’importanza di curare di ogni particolare, anche invisibile all’occhio.

Se Steve Jobs fosse stato il fondatore non della Apple Computer , ma della Apple Records forse sarebbero cambiate tante cose del mondo come lo conosciamo oggi, ma non la copertina del “White Album”. Siamo certi che l’avrebbe immaginata proprio così, com’è adesso fra le nostre mani.

Tags:

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *

66  +    =  74

Newsletter

Vuoi essere aggiornato sulle ultime novità dalla mia libreria?

Iscriviti alla newsletter! Ne riceverai un paio al mese ;)