L’atto III di qualcosa solitamente è anche l’ultimo, si spera. Come per la saga di “Amici Miei”, pietra miliare della commedia all’italiana. Il paragone ci sta, visto che il riferimento è non solo alla terra toscana, ma alla toscanità in sé, a quel modo graffiante di ironizzare (a volte in modo un po’ stronzo, lo ammetto) su un evento funesto o una tragedia. No, noi toscani non ci si ferma dinnanzi a nulla. Pensiamo proprio a quella scena del film in cui Ugo Tognazzi, Adolfo Celi, Philippe Noiret e Gastone Moschin, gli amici di una vita, ammirano sconsolati da piazzale Michelangelo la loro Firenze appena colpita dall’alluvione. Dopo aver fatto la conta dei rispettivi danni, si chiedono: “Che si fa oggi?”. La risposta unanime, divertente e terribile al tempo stesso è: “Lo sci d’acqua!”
Che si fa oggi, se siamo una comitiva di dieci ragazzi e la peste nera colpisce Firenze nel 1349? Si va fuori dalla città e ci si raccontano barzellette e storielle un po’ sconce, magari all’ombra di ulivi e cipressi. Oddio, detta così suona ingeneroso e troppo semplicistico, visto che si parla di uno dei capolavori della letteratura italiana, fondamentale per un milione di motivi storici, linguistici, socio-culturali. L’antefatto del “Decameron” di Boccaccio però è proprio questo: l’evasione dal contagio di un gruppo di giovani, che danno vita a quello che oggi si definirebbe un vero e proprio festival letterario basato sul raccontarsi novelle. Novelle contro la paura, verrebbe da dire, parafrasando un cantautore di molti secoli dopo che con la Toscana ha molto a che fare, nonostante non ci sia nato.
I desideri dell’uomo e le strategie per soddisfarli diventano più importanti di qualsiasi altra cosa, proprio quando il mondo per come lo conosciamo sembra perduto per sempre. Non è un caso che i ciechi di Saramago o i replicanti di Ishiguro vivano la sessualità in modo istintivo, al pari di mangiare e bere, come un bisogno primordiale della razza umana spogliata da ogni contaminazione sociale: così sono anche molti personaggi del capolavoro di Boccaccio.
Tuttavia, se ci si trasferisce in campagna per sfuggire a qualche pestilenza, è lecito chiedersi se a casa va tutto bene. Risponde Brunori, direttamente dal nostro secolo, con l’omonimo album del 2017. Lui è un lupo della Sila che conosce bene i colli toscani intorno a Certaldo: ha studiato a Siena e proprio in quei luoghi ha iniziato il suo percorso musicale. Oggi tutti parlano di “Cip!”, il suo ultimo album, quello che probabilmente lo ha consacrato come cantautore di tutti, ma è proprio con “A casa tutto bene” che tocca sempre più forte quelle corde che lo rendono speciale: raccontare l’uomo e la sua miriade di sentimenti, dolori, sfaccettature e ansie. Fra i tanti bei pezzi dell’album, quello che avrebbero certamente cantato i dieci narratori del “Decameron” se avessero avuto una chitarra acustica è “Canzone contro la paura”.
Però Dario, se un po’ lo conoscete, non riesce mai a essere filosofo fino in fondo: quando le sue parole sembrano a un passo dal pippone esistenziale, ritornano improvvisamente ironiche e leggere, come se ci volesse dire che va tutto male, ma insomma, non prendiamoci troppo sul serio.
Nella beffa, nella battuta o nel racconto di una storia a sfondo erotico, le persone riscoprono una frivolezza necessaria per non rendere la vita troppo pesante, più complicata di quanto non lo sia già. La stessa ironia che Nadia Terranova, in un bel pezzo uscito su il Foglio del 29 febbraio, si diverte a catalogare in una sorta di mini-enciclopedia della prima settimana del Coronavirus, riportando le battute più inflazionate e condivise dai social. Chissà se oggi il “Decameron” si sarebbe scritto su qualche blog letterario e le cronache delle dieci giornate lanciate e sponsorizzate sui social: magari lo scopriremo nei prossimi giorni, basta che che qualche comitiva di giovani abbia avuto un’idea in stile Boccaccio.
Me li immagino, ragazzi e ragazze di oggi, in qualche baita sull’appennino toscano, lontano dalle zone rosse: che si fa tutti insieme davanti a un caminetto acceso, visto che guardare la tv o leggere le notizie sullo smartphone ci fa solo crescere il senso di angoscia? Magari ci si iniziano a raccontare storie leggere e un po’ ammiccanti. Oppure si cantano canzoni. Canzoni che ti amo ancora, anche se è triste, anche se è dura. Canzoni contro la paura.