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Frankenstein: il capolavoro di Mary Shelley illustrato da Bernie Wrightson

“Rendimi felice e tornerò a essere virtuoso”

E’ stato molto importante, prima di avventurarmi per la prima volta nella lettura di Frankenstein, leggere la biografia di Mary Shelley perché mi ha permesso di capre ancora più a fondo questa opera meravigliosa e che pensavo fosse di tutt’altra pasta.

Capisco adesso il significato dell’introduzione scritta da Stephen King per l’edizione illustrata da Bernie Wrighton (Oscarvault edizioni) quando definisce Frankenstein “il libro che più di ogni altro stronca le aspettative di chi lo affronta“.
Non so infatti cosa mi immaginavo, probabilmente condizionata dalle immagini offerte dai film.

Il romanzo di Mary Shelley mi ha totalmente stupita e persino commossa.

Innanzitutto, sapere quando e come Frankenstein è stato “partorito” dalla giovane scrittrice è stato molto significativo.
Mary Shelley, probabilmente ispirata dall’impeto della madre, scrittrice e antesignana del femminismo (autrice di Rivendicazione dei diritti della donna), morta praticamente dopo aver dato alla luce Mary, ancora diciassettenne seguì il proprio cuore fuggendo con lo squattrinato e già sposato Percy Shelley (immaginate lo scandalo per quell’epoca!).

La vita della coppia è stata un continuo viaggio, un’andata e ritorno da Ginevra a Londra e all’Italia, un insieme di incontri e perdite.  Sicuramente fatidica è stata per la giovane Mary la permanenza presso Villa Diodati, un elegante edificio settecentesco da cui era possibile ammirare il lago di Ginevra e il monte Giura. E’ lì, nel 1816, che Mary ispirata dagli esperimenti del galvanismo secondo cui si sarebbe potuto rianimare un cadavere, trovò l’idea per la sua storia di fantasmi.
Un gioco inventato, una sera, tra amici (“scriveremo ciascuno una storia di fantasmi“) diventò una sfida per la Shelley che, dopo una visione agghiacciante, in una lugubre notte di novembre, scrisse Frankenstein.

Un romanzo che non definirei horror, bensì melodrammatico a volte anche stucchevole e a tratti “infantile” (ho trovato banali alcuni dialoghi), ma nell’insieme è un romanzo meraviglioso che scorre fluentemente senza stancare mai.

La storia di Frankenstein, il genio creatore del mostro, è raccontata in prima persona quindi è possibile sentire tutto il suo orrore e dolore per aver dato vita alla sua stessa angoscia. Il delirio febbrile e il desiderio di compiere ciò per cui aveva tanto studiato si spezzano di fronte alla “catastrofe“.

“Avevo lavorato sodo per quasi due anni al solo scopo di infondere vita in un corpo inanimato. Lo avevo desiderato con un ardore di gran lunga superiore al normale, ma ora che avevo finito, la bellezza del sogno era svanita, e un orrore e un disgusto soffocanti mi opprimevano il cuore”.

Da quel momento in poi, la vita di Victor diventa un inferno, una moltitudine di dolore che si somma ad altro dolore, senza via di uscita. Anzi no, una soluzione ci sarebbe e gli viene fornita dallo stesso mostro creato da Frankenstein che, nonostante tutto, sembra avere una profonda umanità.

“Tutti gli uomini odiano i disgraziati; e quanto devo essere odiato io, che sono la più miserabile tra tutte le cose viventi! Eppure tu, il mio creatore, detesti e respingi me, la tua creatura, a cui sei legato da un nodo che può essere sciolto solo dall’annientamento di uno dei due….Rendimi felice e tornerò a essere virtuoso”.

Un bisogno disperato di amore. Ecco cosa c’è in questo capolavoro di Mary Shelley. E mi fermo qui perché la storia narrata dal mostro, per spiegare il modo in cui si è sentito sin dalla “sua nascita”, è di una commozione dolorosa e struggente.

Aver letto Frankenstein inoltre nell’edizione illustrata da Bernie Wrightson, uno degli artisti più talentuosi del mondo dei fumetti, è stata una bellissima esperienza perché, come ha scritto lo stesso King: l’arte di Bernie Wrightson arricchisce la storia di Mary Shelley come la storia di Mary Shelley arricchisce l’arte di Bernie Wrightson.

Leggetelo.

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