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L’anno che a Roma fu due volte Natale di Roberto Venturini

Tra i libri in dozzina del Premio Strega 2021, il libro di Roberto Venturini, L’anno che a Roma fu due volte Natale, vi farà dimenticare per un attimo tutte le angosce che avete accumulato leggendo gli altri libri in lizza per la cinquina.

Eh si, a questo punto (avendo letto già 7 dei 12) posso affermare con certezza che i libri candidati allo Strega, quest’anno, hanno quasi tutti un velo di tristezza di fondo, probabilmente perché nati nel corso dell’ultimo anno che, come sappiamo, non è stato facile per nessuno.

Intendiamoci, i libri che fanno riflettere, piangere e mettere in discussione a me piacciono perché li trovo edificanti sotto molti punti di vista. Capite però che leggerne di simili, uno dietro l’altro, inizia a essere pesante. Non pensate, però, che “L’anno che a Roma fu due volte Natale” non sia angosciante perché, nonostante i risvolti a metà tra surreale e realtà, di base c’è un grande disagio.

“L’anno che a Roma fu due volte Natale” parte a bomba, portando il lettore lungo la costa laziale di Torvaianica che ha vissuto il suo boom economico quando, a partire dalla fine degli anni ’50, iniziarono a costruire molte case tra cui quelle acquistate da Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Luciano Salce…

Quel pezzetto di costa sul mare diventa, tra gli anni ’60 e ’80, “una costola della dolce vita romana” grazie a Ugo Tognazzi che fondò il Villaggio, rendendo così Torvaianica un punto di riferimento per molte persone famose.

Accadeva, quindi, che attori, registi, gente famosa si mescolassero alla gente comune che viveva lì e che, quindi, poteva assistere a momenti stupendi, incontrare al bar personaggi come Vianello, scambiare due chiacchiere con Gassman.

Il libro parte da una situazione storica e culturale vera, affascinante e travolgente tanto da poter scovare online immagini di quei tornei folcloristici organizzati da Tognazzi. E proprio nell’ambito di quell’atmosfera prende le mosse la storia dei protagonisti di Venturini, memori di un periodo che non c’è più ma che ha lasciato tanti ricordi, foto appese al muro di un bar (il famoso Bar Vanda, luogo di ritrovo dei grandi personaggi), strette di mano e autografi conservati in un cassetto.

Ho molto apprezzato questo racconto, l’ambientazione, la delineazione dei vari personaggi che si  stringono, a un certo punto, per un’operazione per niente banale, anzi direi “fuori dal comune”.

La “tragedia” di Alfreda, una donna “esplosa, come aveva fatto quel villino nel Villaggio Tognazzi con i ricordi materiali di una famiglia che di fatto non esisteva più“, diventa il fulcro di tutto e tutti. Il figlio Marco, inetto e insicuro, nonché protagonista della famosa pubblicità anni ’80 del dado Knorr (il bambino che a un certo punto dice: papà, guarda, un pollo!), coinvolge due amici sgangherati ma amabili in una serie di attività.

Insieme sgombereranno dagli accumuli e dagli insetti la casa di Alfreda (le prime pagine, per me, sono state pesanti perché la presenza di blatte, cimici e formiche su ogni dove mi ha messo ansia), e poi porteranno a compimento una missione molto strana ma che, in quel contesto, sembra la cosa più normale del mondo.

Arrivata, quindi, a metà libro, mi sono chiesta: ma come gli è venuto in mente???
Voi, per esempio, sapevate che Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, una coppia mai divisa in vita, riposano in pace in due posti lontani?
Ebbene io non lo sapevo ma non sono nemmeno certa sia così (confesso, non sono andata a cercare online). Ad ogni modo, Alfreda vuole ricongiungerli, perché è stata la stessa Sandra a chiederglielo, in uno dei suoi deliri tra veglia e sonno.

E no, Alfreda non sta bene e non vi voglio raccontare (spoilerare) il perché (dico solo che ha perso il marito in un modo che, anche lì, non sapevo se piangere o ridere), ma questo obiettivo per lei è importante e lo diventa anche per quelle tre persone rimaste accanto a lei per accudire il suo dolore.

Le scene che si susseguono sono splatter e comiche allo stesso tempo, i tre riescono a portare avanti la loro missione che, però, non si conclude al 100%. O forse si, perché il figlio di Alfreda, Marco, si sente nonostante tutto rasserenato e, infine, rassegnato.

“L’anno che a Roma fu due volte Natale” è quindi un libro che ha il potere di fare emergere ricordi di ogni tipo (ambienti, persone, film, pubblicità, citazioni famose…), ridere, meravigliare, intristire e chiudere l’ultima pagina chiedendosi: ma come gli è venuto in mente?

Una ventata di aria fresca, direi, in questa dozzina 2021 nata nell’anno della pandemia.

Questo libro fa parte della dozzina del Premio Strega 2021 ed è stato letto con il mio gruppo di lettura #inattesadellacinquina

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