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Io sono Gesù di Giosuè Calaciura, finalista premio Vittorini 2021

“Ho capito che ogni madre, non solo la madre di Gesù, racconta al proprio figlio la sua nascita come una favola, l’unico miracolo di cui abbiamo certezza, perché non sia troppo crudele essere al mondo nelle notti feroci di tempesta”.

Ho iniziato la lettura di Io sono Gesù di Giosuè Calaciura, finalista del Premio Elio Vittorini 2021, con un po’ di timore. Da credente quale sono, temevo di trovarvi qualcosa di blasfemo e contro il mio credo. Eh si, lo so, a volte tendo al bigottismo, perdonatemi.
E invece attraverso la figura di un Gesù apparentemente diverso da quello che tutti conosciamo tramite le scritture, viene restituita un’immagine umana, terrena, limpida e ricca di significato.

Gesù racconta in prima persona la sua nascita, come gli è stata raccontata dalla madre Maria, e i ricordi della sua infanzia. La perdita del padre Giuseppe che esce di scena fuggendo via (Padre, perché mi hai abbandonato?) e il suo desiderio di libertà e indipendenza, alla ricerca del padre.

Si susseguono una serie di vicissitudini ed esperienze che segnano la vita di Gesù, ragazzo e poi adulto, accanto a figure come Barabba, Zaccaria, Giovanni, Gionata, Lazzaro, in un crescendo di tensioni tra l’arte di arrangiarsi, la fame e la povertà, luoghi impervi (tra Nazart e Gerusalemme), viaggi verso famiglie lontane e alla ricerca di acqua e qualcosa da mangiare.

Una continua lotta per la sopravvivenza pervade le pagine di questo romanzo di formazione, lasciando messaggi che sta ad ognuno cogliere e fare propri.
Non si assiste a miracoli ma si ricevono tanti segni; la natura in qualche modo risponde sempre e sta all’uomo averne cura e ringraziarla. La musica è capace di ammansire cani rabbiosi, mentre le mani degli uomini riescono a ricostruire villaggi distrutti condividendo tozzi di pane e fatica.

Gesù scopre per ben due volte cosa significa amare una donna, non avere fame per l’emozione, pensare costantemente agli occhi dell’amata.

Il Gesù di Calaciura supporta e sopporta, è divino a modo suo, non ha la forza di ferire e alla fine non parla nemmeno più. Non si apre nemmeno alla madre, Maria, che per comprenderlo non ha bisogno di molte parole. Come ogni madre, Maria sa tutto e resta un punto fermo nella vita di un figlio a tratti ribelle ma, in realtà, simile a chiunque voglia lasciare un segno e seguire la propria indole.

Gesù non saprà mai perché il Padre lo ha abbandonato, né se nascere in una stalla sia stato solo il frutto dell’immaginazione della madre quando gli raccontava dolci storie per calmarlo.

Sa però che è il frutto del ventre di una donna forte e insostituibile, tenera e benedetta.

Attraverso la tenerezza delle sue dita sulla mia piaga avvertivo una mestizia dolente e rassegnata, un tributo, un sacrificio da versare attraverso il suo -il mio- dolore.

 

Maggiori informazioni sul Premio Vittorini

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