“Non voglio morire”
“Non voglio scomparire”
“Più scrivo, più l’ossessione della morte si fa leggera”
Leggendo queste citazioni, direte: ma è un libro sulla morte? Oh che angoscia!
E invece NO. “I miei stupidi intenti“, romanzo di esordio di Bernardo Zannoni, giovane scrittore eccentrico e particolare, è talmente pieno di vita e di verità che è proprio difficile staccarsene e dimenticarsene.
I miei stupidi intenti (Sellerio) è il libro che contiene tutte le nostre paure. E qual è la paura più grande?
Pensateci.
Inoltre non è affatto casuale la scelta dell’autore di dare ai suoi protagonisti animali molti dei nomi biblici che conosciamo, da Gioele a Giosuè, da David a Solomon, dal momento che al centro della storia c’è il libro di Dio ma anche di un animale e dei suoi stupidi intenti.
La storia di Archy, la faina protagonista di quella che può sembrare una favola, rappresenta il nostro intento quotidiano di trovare un perché in tutte le cose che viviamo, di vivere lunghi istanti di felicità (anche se sappiamo che verranno interrotti da pene e dolori), di raggiungere la pace e la serenità.
Archy è una faina che crede, alla fine, di essere un uomo, reso animale da Dio per essere messo alla prova. Arriva a questa consapevolezza dopo innumerevoli prove e fatiche, dopo aver scoperto, tramite una la volpe-guida, l’esistenza di un essere superiore e di una vita dopo la morte, l’importanza di credere a qualcuno e la necessità di lasciare una traccia di sé nel mondo.
Sono straordinari i riferimenti biblici contenuti in questo romanzo; la parola di Dio che passa di bocca in bocca per non lasciare morire la verità, seppur dolorosa.
Il finale è struggente perché mette di fronte a quel pensiero che ognuno di noi rifugge, e cioè quell’ultimo istante in cui si abbandona la vita.
L’ultimo intento, se ci pensate, potrebbe essere davvero quello di scappare, come tutti dall’inevitabile.