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Un Bowie dal trucco leggero: come non buttarsi giù con Micheal Stipe

Non posso dire di aver conosciuto i REM prima di “Losing My Religion”, ma quella è stata la molla che ha fatto scattare l’interesse verso la loro musica.  Un paio di vecchi album raccattati a scuola e doppiati su cassetta mi hanno preparato l’uscita di “Monster” nel 1994, evento che ho atteso con grande partecipazione e che ha rappresentato il mio primo vero approccio da fan dei REM.

Da lì è venuto tutto naturale: ho scoperto il “prima”, con il meraviglioso rock puro dei primi album (“Murmur”, “Reckoning”, “Document”) e ho atteso il “dopo” sempre con un misto di trepidazione e sicurezza, perché alla fine ero sempre certo che Micheal Stipe e compagni non mi avrebbero tradito. Non l’hanno fatto neanche quando, dopo il controverso  “Up” dell 1998, hanno atteso ben 14 anni prima di sciogliersi. Eppure sembrava tutto imminente, dopo l’abbandono del batterista Bill Berry.

Mi è sempre sembrato che il successo per i REM fosse una conseguenza e non la vera causa per cui facevano musica.

La sensazione è nata soprattutto dai concerti a cui ho assistito a cavallo fra il vecchio e il nuovo millennio: Micheal Stipe per dare il meglio di sé non aveva la necessità di caricarsi con l’urlo della folla, come ad esempio Freddie Mercury o Bono Vox.  Era più un David Bowie dal trucco leggero (perché si, ricordo esattamente che a Bologna nel 1999 si è presentato sul palco dello stadio Dall’Ara con un contorno occhi lilla), che si metteva a nudo davanti a 40 mila persone senza articolari timidezze, perché in fondo sapeva di avere qualcosa di importante da comunicare con un pubblico che non era lì per caso.

Ne ho avuto tutte le conferme nella bellissima intervista uscita su “Robinson” di  Repubblica il 22 giugno di vent’anni dopo (rispetto a quel concerto).

Proprio “Monster” è stato un album particolare per i REM, estremamente cupo, dove i riff di chitarra e le distorsioni hanno preso il posto del tradizionale sound jangle. Sono certo che fosse quello l’album dell’ “orlo del baratro” di cui parla Stipe nell’intervista, quello in cui la vicinanza con l’indole maledetta di Kurt Cobain si faceva sentire meglio.  Basta pensare alla struggente “Let Me In”, dedicata proprio al leader dei Nirvana, brano notevole troppo spesso passato inosservato (potete ascoltarlo qua sotto).

Con Kurt Cobain (e River Phoenix) Micheal Stipe e gli altri REM condividevano gli stessi tormenti interiori, lo stesso sentimento di purezza, tradotto in una paura che può apparire insensata a chi non è dotato di vera sensibilità artistica: quella per cui il successo avrebbe potuto portare l’artista a snaturare i propri ideali.

Piuttosto che tradire se stessi in certi casi meglio morire, nel vero senso della parola. Micheal, a differenza di Kurt, è riuscito a fermarsi mentre vedeva il precipizio.

Un po’ come i personaggi del romanzo “Non buttiamoci giù” di Nick Hornby.

non buttiamoci giù - nick hornby

Ovviamente del delicato intimismo dei REM non c’è traccia apparente nella tagliente ironia nei personaggi di Hornby, che si ritrovano casualmente la notte di Capodanno all’ ultimo piano dello stesso palazzo di Londra, tutti con l’intento di passare a miglior vita. Un conduttore televisivo in declino, una madre con un figlio disabile, una ragazza problematica e naturalmente un musicista, che fin dall’ inizio della storia è quello che sembra fuori posto in quel gruppo di autolesionisti.

Tutti sono schiacciati dal peso della vita e in certi casi dalla paura del giudizio degli altri, un altro aspetto su cui Micheal Stipe si sofferma in relazione al suo rapporto con il pubblico.

Alla fine però capiscono che la cosa più giusta è fare un passo indietro, perché in fondo la vita offre sempre una seconda possibilità. La stessa scelta di Micheal, quella che gli ha permesso negli anni successivi di creare di altri album bellissimi e di avere in pubblicazione oggi un libro di fotografia, la sua più grande passione.

Leggo da più parti che Kurt Cobain, proprio per la sua vocazione “alternativa”, oggi non potrebbe digerire le magliette con il logo dei Nirvana esposte in qualsiasi centro commerciale alla stregua di una tendenza di moda usa e getta. Forse, se nel momento estremo della sua scelta, avesse avuto la forza di ripensarci oggi quelle magliette sarebbero un indumento solo per i fan, esattamente come lo sono quelle dei REM.

Post Scriptum
Il 5 aprile 1994 Kurt Cobain venne trovato senza vita nella sua villa di Seattle. Nel suo stereo c’era la cassetta “Automatic for the People” dei REM, l’ultimo album che ha ascoltato prima di morire.
Nel settembre di quello stesso anno Stipe e compagni pubblicarono “Monster” .

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