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Ovunque io sia: la vita è una speranza dietro l’altra

Non si può NON rimanere scossi, dopo la lettura delle oltre 600 pagine di questo capolavoro di Romana Petri. Un romanzo dove c’è tutto: storia, sofferenza, passioni, povertà, rivincita, depressione, malattia, speranza, famiglia, lotta e amore.
Un libro che mette a nudo la vita e i sentimenti di una famiglia attraverso tre generazioni, in un incrocio di vicissitudini che si dispiegano fluidamente, dall’inizio alla fine.
Ma c’è una fine?

Adoro le storie che iniziano nel presente per perdersi in un passato attraverso una semplice fotografia. Quando il quadro si ricompone, viene fuori un ritratto perfetto anche se triste.

Il velo di tristezza infatti permea tutto il romanzo, ma non è distruttivo. Al contrario, dalla sofferenza i suoi protagonisti traggono forza e insegnamento, soprattutto a partire dalla capostipite di questa storia che prende le mosse in una Lisbona degli anni ’40, dove la guerra non è mai arrivata ma che ha sofferto di ben altre situazioni. Erano gli anni della dittatura di Antonio de Oliveira Salazar che rendeva il Portogallo fermo e chiuso in se stesso, povero di ideali e quasi rassegnato, fino alla rivoluzione dei Garofani del 1974.

Strutturato davvero bene, il libro muove i suoi primi passi nel presente per poi trovare una connessione nel passato da cui inizia tutto. E allora ecco Margarida e il suo incontro con donna Ofelia che, a sua volta, ha un suo passato e una sua storia che mai avrebbe detto si potesse incrociare e soprattutto integrare con quella di Margarida.

Arrivano incontri e amori con uomini sbagliati che, in un primo momento, però sembravano teneri e appassionati.
E così arriva Maria do Ceu, la figlia che Margarida ha cresciuto da sola e in povertà ma a cui riuscirà a regalare un po’ di agio, affidandola a donna Ofelia e al marito Manuel.

Ecco, vorrei un attimo soffermarmi proprio su Manuel Ramalhete (non so perché, è l’unico personaggio che viene sempre chiamato per nome e cognome), un uomo irritante, soprattutto all’inizio, e che, strada facendo, nonostante alcuni aspetti discutibili, ha acquistato tantissimi punti ai miei occhi.
Da personaggio quasi insignificante, diventa perno e punto di riferimento, il centro delle vite di tutti i personaggi dai quali è amato o odiato a seconda dei casi.

Un uomo da una mentalità retrograda, come quella della moglie, che dovrà fare i conti con le generazioni più giovani e alle quali non rifiuterà di dare aiuto e sostegno. Un uomo che sfrutta le sue capacità comunicative e conoscenze in dittatura a suo vantaggio o di chi ama. Si, perché alla fine
anche Manuel Ramalhete ama e piange, piange molto.

La storia di Margarida diventa un po’ anche la storia della figlia Maria do Ceu, anche se con aspetti e tempi diversi. La povertà non sarà più la stessa, ma sarà comunque un ricordo sempre troppo forte e vivo. I figli di Maria avranno dei nonni e una vita più agiata, anche se non priva di enormi sofferenze.

Settant’anni che riflettono i cambiamenti di un paese e delle persone che lo vivono, le loro credenze e superstizioni:

“Questa non è acqua da bere, questa è l’acqua che aspetta. E lo fa piano piano. Giorno dopo giorno tu conti quante bollicine ci si sono formate dentro e così puoi sapere quanti nemici hai e quanto potenti e quanto male ti possono fare”

Grazie alle bollicine nel bicchiere, scaturiscono brutti presentimenti e sensazioni. Si va comunque avanti, sempre e nonostante tutto.

“Non sono una che si volta continuamente indietro, mi piace di più l’emozione che c’è nelle cose che si aspettano”

E poi, come già detto diverse volte, adoro quando il titolo del libro scaturisce da una frase o un particolare:

“Ovunque io sia, io continuerò a stare anche qui. Il mio tempo è nel tuo e il tuo in quello dei tuoi figli che continuerà ad essere anche il mio”

Adesso sono curiosa di leggere anche il seguito di questo bellissimo romanzo, e cioè Pranzi di famiglia.

Voi lo avete letto? Cosa ne pensate?

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