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Il legame fra i Muse e “1984”: qualcosa di umano

Nella produzione musicale dei Muse il riferimento al romanzo “1984” di George Orwell è quasi un marchio di fabbrica, riconoscibile come le loro linee di basso e i riff di chitarra.

In alcuni album il collegamento è più diretto che in altri, in particolare fra quelli dell’ultimo decennio: su tutti spicca “The Resistance” del 2010. Il brano d’apertura è “Uprising”, uno dei loro pezzi migliori. L’incipit inquietante proietta subito l’ascoltatore all’interno di un non specificato regime politico e incita alla sommossa per ottenere la libertà. Il secondo pezzo, che è anche la title track dell’LP, è un chiaro riferimento all’amore impossibile narrato in “1984”:

Love is our resistance

They’ll keep us apart, and they won’t stop breaking us down

Hold me

Our lips must always be sealed

La società in cui vivono i protagonisti di “The Resistance” non permette alcuna libertà, compresa quella di amare: dovranno tenere le labbra chiuse per non far scoprire il loro nascondiglio, altrimenti arriverà la Psicopolizia a spezzare il loro idillio segreto. La famigerata “polizia del pensiero” è il riferimento forse più esplicito di tutto l’album al romanzo di Orwell, tuttavia le citazioni non mancano anche in altri pezzi:  fra tutti “Undisclosed Desires” e “United States of Eurasia”.  L’ Eurasia è infatti uno dei tre continenti immaginari in cui era divisa la terra in “1984”.

Nell’album successivo, “The 2nd Law” del 2012 non è impossibile scovare alcune atmosfere del capolavoro di Orwell. Uno dei brani più riusciti del disco è “Madness”,  che con il suo ritmo dubstep racconta la storia di un’ossessione d’amore.  Se il testo sembra rimandare ad un rapporto non corrisposto, il video svela qualcosa di diverso: i due protagonisti sono in una metropolitana di una non precisata città del futuro, hanno la polizia (psico?) intorno, fanno palesemente finta di non conoscersi. L’esplosione emotiva finale però fa capire che la loro storia è in realtà quella di un amore ostacolato dalla società, in cui uno dei due amanti (lui?) non ha forse la forza di lottare fino in fondo per farlo trionfare.

“Drones” del 2015 è l’album più rock e forse sottovalutato dei Muse, personalmente il mio preferito. Qui il tema “1984” non viene affrontato dal punto di vista dei sentimenti, ma del condizionamento mentale. Brani come “Dead Inside” e “Psyco”, con i loro potentissimi riff di chitarra e addirittura le sovra-incisioni di ordini urlati da un istruttore militare, fanno capire come nella società moderna la propaganda può essere una macchina potentissima,  in grado di fomentare odio e distruzione.

Con “Simulation Theory” del 2018 si fa strada l’ossessione per un futuro sempre più controllato dalle macchine e dai dati. I Muse, da artisti a tutto tondo, hanno sempre avuto la capacità di unire il linguaggio musicale a quello visivo: per questo non sono solo importanti i video per rafforzare i concetti che esprimono nell’album, ma addirittura i live stessi. Allo stadio Olimpico di Roma io, Viviana e la nostra piccola Lucia abbiamo avuto la fortuna di assistere a un evento probabilmente unico nel suo genere, un grande concerto-happening che rappresenta perfettamente le ossessioni raccontate dai Muse nel loro ultimo lavoro: esseri umani ridotti ad automi e mostri giganteschi nei posti di comando della società.

Le allegorie sono chiare, così come il costante riferimento alle atmosfere di “1984”, un romanzo del 1948 che riesce a rappresentare le angosce non solo del nostro tempo, ma anche del futuro come ce lo immaginiamo.

I Muse però ci lasciano un messaggio di speranza: nel possibile contagio generale (“Though Contagion”)  c’è sempre qualcosa di  profondamente umano (“Something Human”)  che alla fine dovrà avere la meglio sulla freddezza degli algoritmi.

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