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Il cardellino: 896 pagine e non sentirle

Non lasciatevi impressionare dalla mole di questo tomo lungo 896 pagine: Il Cardellino di Donna Tartt merita di essere letto e vissuto.
Non importa se vi faranno male i polsi nel reggerlo o se non troverete mai la posizione giusta per leggerlo. La vita di Theo, il protagonista di questo lungo romanzo, è capace di travolgere il lettore come un fiume in piena, perché lui stesso è un torrente frenetico e inarrestabile, impetuoso e agitato, dolce in certe valli per poi scrosciare nuovamente per pendii scoscesi.

Si passa da momenti di disagio e angoscia, a quelli di dolore, speranza, riconoscenza, amore, vita.

Un percorso intimo che consiglio a ognuno di voi di seguire. Ogni tanto vi sentirete sperduti e tristi ma non disperate, perché la Tartt con la sua scrittura fluente e mai banale, vi trascinerà pagina per pagina dentro una storia nella quale vi sentirete avvinghiati e dalla quale sarà difficile uscire.

Ho centellinato le ultime pagine perché non volevo staccarmi da Theo e Hobie, in assoluto i personaggi che ho preferito. Ho letto e riletto più volte certi passaggi, soprattutto le ultime 10 pagine dove ho trovato un finale inaspettato, quasi alla Paola Maugeri!

Ho amato le descrizioni delle due donne più importanti da Theo, la madre e Pippa.
Ho apprezzato tantissimo la centralità dell’opera d’arte Il Cardellino, oggi custodita presso il museo olandese dedicato all’arte del Seicento e Settecento, Mauritshuis de L’Aia, scoprendo la storia del quadretto, superstite in seguito a un incendio a Delft durante il quale perse la vita lo stesso artista e padre dell’opera, Fabritius (1654).

“Era una piccola creatura ritratta senza artificio né sentimentalismo; e qualcosa, nel modo compatto con cui se ne stava ripiegata su se stessa – la sua luminosità, l’espressione vigile e all’erta – mi ricordò alcune fotografie di mia madre da bambina: un cardellino anche lei, con la testa scura e lo sguardo fermo”.

Il Cardellino è centrale nella vita di Theo, si scopre già nelle prime pagine quando la madre gli spiega la bellezza dell’opera, mentre si trovano presso il Museo, e alla quale proprio nelle ultime pagine Theo dà un suo significato.

“Un tempo che non si muove, un tempo che non può essere chiamato tale. E intrappolato nel cuore della luce: il piccolo prigioniero, saldo.
Il significato – come disse la madre a Theo – non conta. L’importanza storica lo trasforma in qualcosa di muto…”.

Ho amato le descrizioni di Theo sulla madre, parole indelebili che restano impresse anche dopo 900 pagine.

“In sua compagnia ogni cosa prendeva vita; emanava una luce incantata, simile a quella che uno vede a teatro, e il mondo attraverso i suoi occhi acquistava colori più vividi….
Non ho mai più incontrato nessuno in grado di farmi sentire tanto amato”.

Non so a voi, ma a me questa descrizione fa venire i brividi. Ovviamente continua a pagina 17.

Belle anche le parole che dedica a Pippa, la ragazza che ama dal primo giorno che la vede:

“Il pensiero di lei mi affliggeva al punto che non riuscivo a dimenticarla più di quanto avrei potuto dimenticare un mal di denti. Era una cosa involontaria, inevitabile, compulsiva. Per anni era stata la prima cosa a cui pensavo appena sveglio, l’ultima quando andavo a dormire, e durante il giorno ci pensavo di continuo, in modo intrusivo, ossessivo e doloroso.
Perché nella parte più profonda e inamovibile del mio essere la razionalità non serviva a niente. Lei era il mio regno scomparso, la parte illesa di me che avevo perso insieme a mia madre. Tutto ciò che la riguardava era un turbinio di fascinazione…”.

E insomma, ci si ritrova alla fine dopo aver vissuto tutta l’inquietudine del protagonista alla ricerca di una felicità che non arriva mai.

Diversi personaggi ruotano intorno alla vita di Theo, in particolare Boris, l’amico con cui condivide sofferenze e dolori.

Si assiste a un grande colpo di scena e a parti quasi thriller e con del giallo in mezzo. Ciò che mi ha colpito di più è stato il risvolto inaspettato con un finale che, credetemi, ho letto più volte.

A pagina 880 mi sono trovata di fronte al flusso di coscienza di Theo che dice:

“Il cuore non si sceglie. Non possiamo obbligarci a desiderare ciò che è bene per noi o per gli altri. Non siamo noi a determinare il tipo di persone che siamo”.

Stupenda la fine:

“Non possiamo scappare da ciò che siamo. E per quanto mi piacerebbe credere che ci sia una verità dietro l’illusione, mi sono convinto che non c’è alcuna verità dietro l’illusione. Perché tra la realtà da un lato e il punto in cui la mente va a sbattere contro la realtà, esiste uno spazio sottile, uno spicchio d’arcobaleno da cui origina la bellezza, il punto in cui due superfici molto diverse tra loro si mescolano e si confondono per procurare ciò che la vita non ci dà: e questo è lo spazio in cui tutta l’arte prende forma, e tutta la magia”.

Grande, Donna Tartt. Hai scritto un capolavoro.

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