Ho terminato la lettura di questo classico struggente e intenso con la consapevolezza di voler recuperare tutto ciò che ha scritto Thomas Hardy, scrittore inglese di fine ottocento che troviamo sepolto nel Poets’ Corner dell’Abbazia di Westminster, a fianco di Charles Dickens.
Negli ultimi mesi mi sono data agli scrittori inglesi, calamitata dalla loro capacità di coinvolgere attraverso fiumi di parole, periodi lunghissimi che non stancano mai e affascinano al punto da sentirne la mancanza, quando si finisce il libro.
Ho sentito la mancanza di Tess per lungo tempo. Ho avuto nostalgia della ragazza definita, nelle prime righe del romanzo, come “un vaso ricolmo di emozioni non ancora scalfito dall’esperienza”.
Cara Tess! Tanto bella e attraente, quanto ingenua e sfortunata! La poca felicità che ti è stata concessa ti è sembrata perfino “troppa”!
Ambientato nell’epoca di Hardy (fine ‘800), ci si scontra con la mentalità di epoca vittoriana con cui Tess ha dovuto combattere per tutta la sua vita, sentendosi lei per prima sporca e cattiva, indegna di ricevere amore, in balia di quelli che definisco “omuncoli”.
Quante belle parole e dichiarazioni che finiscono solo per farle male! La possibilità di poter elevare la propria condizione sociale e famigliare, le nuocerà tantissimo, senza possibilità di cambiare le sorti di un destino ineluttabile.
Ho apprezzato molto le parti riguardanti il rapporto tra Angel Clare e suo padre e quello tra Tess e la madre. Nonostante tutto, l’ignoranza, l’arroganza di una determinata posizione, restano sempre punto di riferimento fermo per i due giovani.
Un amore che si consuma tra malintesi, parole non dette e poi urlate quando ormai è tardi, ingenuità e pudore. Ma un amore vero, di quelli che fa rinunciare a tutto pur di godere anche solo di un attimo di felicità.
E Tess alla fine, nonostante tutto, è felice e ringrazia per quel poco di gioia che ha vissuto, convinta di poter sopravvivere al dolore.
Ingenua fino alla fine.