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La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini

“CHIUDI GLI OCCHI E PENSA AD ALTRO”

A Marianna, sordomuta, viene chiesto di chiudere anche agli occhi. Ce la farà?

Ho terminato La lunga vita di Marianna Ucrìa, splendido libro storico di Dacia Maraini, vincitore del Premio Campiello nel 1990, e non smetto di sfogliarlo per rileggere alcuni passi, ripercorrere la vita di Marianna, una donna che non dimenticherò mai.
Non posso dimenticarla per diversi motivi.

Innanzitutto questo libro mi è stato regalato da mia madre e voi sapete il forte ascendente che lei ha su di me. Per tutto. Non avevo quindi dubbi sul fatto che potesse piacermi. Solitamente quando mia madre dice “E’ da leggere”, ha ragione.

Marianna inoltre è una donna siciliana, un’antenata di Dacia Maraini che, facendo un grandissimo lavoro di ricostruzione storica, ha dato vita ad un romanzo che ci porta dritti nella Sicilia di metà ‘700, alla scoperta delle abitudini e consuetudini delle famiglie siciliane dell’epoca, della società feudale, dei luoghi e fatti storici, dei colori e odori inconfondibili della mia terra.
Dovevo quindi amare per forza questo romanzo!

Senza entrare nei dettagli della storia (sapete che non lo faccio mai, per quello cercate su wikipedia o altri siti!), vi illustro brevemente i tratti salienti del romanzo, che coincidono con i motivi per cui questo libro secondo me va letto.

Femminismo, lettura e libertà

Attraverso la vita di Marianna si assiste a una crescita prorompente da diversi punti di vista. La menomazione di Marianna, muta e sorda, non è un ostacolo bensì la forza per cui diventa pilastro di una famiglia numerosa, maschilista e soprattutto chiusa nei preconcetti del periodo.

Marianna, mutola sin da bambina, non può ambire a un futuro diverso da quello pensato dai genitori, viene data sposa al Signor marito zio Pietro Valguarnera, deve fare figli finché non arriva lu “masculu”, chiudere gli occhi e pensare ad altro.

Non è però nella natura di Marianna “stare in silenzio” solo a guardare. Il suo mutismo è più forte di ogni parola gridata; il carattere volitivo, la passione, la libertà che le vengono forniti dai tanti libri che legge (ovviamente il marito signor zio odia i libri “Lui i libri li evita perché sono bugiardi“), arrivano a straripare, gridando “senza voce” che la vita non può essere tutta lì.

Le “babbasunate” di gioventù per lei sono libertà. E’ meraviglioso il percorso che segue e che la porterà a scoprire che una donna può gioire nel corpo e nell’anima, che può occuparsi di questioni lavorative e fare delle scelte.
Marianna oggi è la mia eroina. Me la immagino in giro, vagabondando per l’Italia (nel romanzo lascia la Sicilia e si reca tra la Campania e il Lazio), tra gente di varie estrazioni sociali senza scandalizzarsi di niente.
Chissà se è poi tornata a casa!?

Le malattie e le cure di fine settecento

“Un’altra volta il vaiolo a Bagheria!”.
Non poteva lasciarmi indifferente l’aspetto legato ai malanni e in particolare al vaiolo che, in quegli anni, uccideva le persone senza scampo. La pandemia covid-19 che sta coinvolgendo il mondo, da quasi un anno, mi ha resa molto sensibile di fronte a certi argomenti, e leggere e scoprire che tanti uomini, prima di noi, hanno sofferto egualmente la paura del contagio, mi convince sempre più di quanto “piccoli siamo”.

La medicina del 1700 doveva fare ancora passi da gigante, tanto che perdere i figli alla nascita o per una brutta febbre, era quasi una regola. Marianna ha avuto diversi aborti e perso un figlio all’età di 4 anni a causa del vaiolo.
Quali accortezze prendeva la madre che non avrebbe mai lasciato solo il figlio, in punta di morte?

“Si lavava ogni momento le mani con l’aceto, mangiava limoni col sale e si teneva la bocca coperta con un fazzoletto legato dietro la nuca come un brigante”.

Doveva colpirmi per forza questa parte!
Struggente il dolore di Marianna che “cerca di tenere in vita il figlio con il calore della sua vicinanza, baciandolo, regalandogli ogni poco un sorso del suo respiro“.

“Sono vedova e credo di poter disporre di me come credo”

Immaginate questa frase detta da una donna alla fine del 1700! Per arrivare a questa consapevolezza ne fa di strada la nostra Marianna!
Le vicende famigliari, la scoperta di retroscena importanti sulla causa del suo mutismo (il signor marito zio abusò di lei quando aveva 6 anni, spegnendo completamente i sensi principali di Marianna), le letture illuminanti (Hume, Voltaire, Montesquieu) alle quali la donna si è avvicinata, la rendono consapevole di una verità basilare, e cioè della libertà di cui anche le donne devono poter godere.

Innanzitutto, quindi, Marianna si lascia trasportare da un amore per troppo tempo soffocato.

“Aveva pensato in tanti anni di matrimonio che il corpo dell’uomo fosse fatto per dare tormento. E a quel tormento si era arresa, un dovere che ogni donna di sentimento non può accettare pur inghiottendo fiele”.

Scopre cosa vuol dire davvero amare ed essere amata.
Come potrà più farne a meno?

Marianna e la libertà

Si mette in viaggio contro tutto e tutti in compagnia della serva Fila, amica che salva dalla pazzia, una donna che libera anch’essa dai preconcetti. La libertà di Fila è simbolica per la vita stessa di Marianna.

“Marianna gustava la libertà: il passato era una coda che aveva raggomitolato sotto le gonne…Il futuro era una nebulosa dentro a cui si intravvedevano delle luci da giostra…”

E anche se non troverà in nessun’altra parte del mondo “quegli odori di alga secca al sole e di capperi e di fichi maturi“; anche se “è disdicevole per una signora girare da una locanda all’altra, da una città all’altra, senza pace, senza rimedio“, la voglia di riprendere il cammino per Marianna è più forte ed io me l’immagino ancora in giro, da qualche parte.

Curiosità

Il Palazzo Valguarnera-Gangi di cui si parla nel romanzo, si trova a Palermo nei pressi della Galleria d’Arte Moderna “Sant’Anna” e lì si conserva uno dei ritratti di Marinna Ucrìa. Il Palazzo, un unicum nel panorama siciliano ed esempio altissimo del rococò italiano, è stato utilizzato come set cinematografico per il ballo del film Il Gattopardo ed è tutt’oggi visitabile.

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