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L’estasi dell’alienazione da Morricone a Camus

Il primo angolo dei vinili del 2021 lo dedichiamo ad Albert Camus, in occasione dell’anniversario della sua morte avvenuta il 4 gennaio del 1960, mettendo in collegamento il suo capolavoro “Lo Straniero” con le più belle arie del maestro Ennio Morricone, scomparso nel 2020.

La nostra seconda incursione nella musica classica dopo Beethoven avviene con un autore moderno, che ha saputo elevare la semplice colonna sonora da film a musica da camera e da concerto. Sono tanti i tributi riservati al maestro romano quando era ancora in vita, dal cinema di Tarantino a gruppi rock come i Muse e i Metallica che in ogni loro live eseguono un brano strumentale di Morricone. In ogni film che si rispetti, nel momento in cui c’è un duello, è facile sentire riecheggiare le note della” trilogia del dollaro” di Sergio Leone: gli sguardi infiniti, le mani sulla pistola, il tempo di attesa che accresce il pathos dello spettatore, Clint Eastwood, il selvaggio west, il sole, la terra arida e poi… una spiaggia dell’Algeria francese, il sole, il caldo, una domenica fra amici, un arabo e un uomo occidentale che si guardano in cagnesco, un conto in sospeso, le mani sulla pistola, ancora gli sguardi infiniti. E poi l’inevitabile.

Ne “Lo straniero” di Camus l’episodio centrale avviene sulle note di Morricone.

Non è possibile immaginare accompagnato diversamente il momento in cui l’insulso Meursault prende una decisione che condiziona il resto della sua vita: quella di sparare a un uomo. Il protagonista del romanzo è inviso da subito al lettore perché è l’apatia e l’indolenza fatta persona. Nel suo lavoro manca di ambizione, eppure ne ha uno; nel rapporto con la sua ragazza non mostra di slancio emotivo, eppure lei sembra amarlo; partecipa al funerale della povera madre, eppure non prova nulla.

La vita di Meursault è ciò che accade mentre lui sembra impegnato a viverla, nella coscienza che nulla può andare diversamente da com’è scritto. 

L’uccisione brutale di un uomo per una banalità lo trascina in un incubo giudiziario, vissuto come tale più dal lettore che dal personaggio, che pare accettare allo stesso modo una vita da uomo libero e da detenuto in attesa di giudizio.

Al di là dell’episodio dell’assassinio, ogni momento de “Lo Straniero” potrebbe essere accompagnato dalle dalla musica di Morricone: dai temi di “C’era una volta in America”, a “Giù la testa”, a “C’era una volta il West”, fino a il “Segreto del Sahara”, vista l’ambientazione nordafricana.  Lo dicono i lunghi momenti di riflessione e di solitudine del protagonista, lo dicono gli sguardi delle altre persone che lo vedono come un colpevole naturale per motivi che nulla c’entrano con quelli reali, lo dice il fatto di essere un uomo che vive in una terra straniera che dovrebbe essere però casa sua, esattamente come il cow-boy di uno spaghetti western venuto in cerca di oro.

Ed è proprio sulle note de “L’estasi dell’oro”, probabilmente il brano più emozionante di Morricone, che immaginiamo la rivelazione della natura di Meursault davanti al lettore: se anche durante l’omicidio non fa una piega, lo scatto d’ira finale che ha di fronte al prete sembra cogliere di sprovvista anche chi pensava di averlo inquadrato. Non è pentito, non vuole assoluzione.

Straniero a tutto e quindi anche alla vita stessa, sa di dovere andare incontro al proprio destino senza guardarsi indietro, in una sorta di estasi dell’alienazione. 

Un’opera del Novecento che pare venire da un’altra epoca, tanto è già classica della sua modernità: l’unica colonna sonora possibile, davvero, non può essere che quella di un maestro moderno e già senza tempo come Ennio Morricone.

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