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Una donna di Annie Ernaux

Dopo la lettura de Il posto, il primo libro che ho letto di questa autrice francese, ho dichiarato che con lei non sarebbe finita qui, desiderosa di scoprire ancora altro di lei.

Come la morte del padre ne Il posto, in Una donna il racconto prende vita dopo la morte della madre.

La morte dei genitori ha messo con le spalle al muro Annie Ernaux che, per elaborare il dolore, mette nero su bianco i suoi sentimenti spesso contrastanti e non certo felici. Armatevi, infatti, di uno scudo anti depressione e leggete senza aspettarvi risvolti positivi o uno spiraglio di felicità.

Non è angosciante solo quello che scrive ma il COME, ed è forse questa la particolarità e la capacità calamitante di questa autrice che non manca di sottolineare i motivi che la portano a fissare su carta i ricordi di una vita, con la madre.

“Non sto scrivendo su di lei, piuttosto ho l’impressione di vivere assieme a lei in un tempo, in luoghi, in cui è ancora viva…Far uscire un libro non ha alcun significato, se non quello della morte definitiva di mia madre”.

Se le parole, gli studi, l’elevazione culturale hanno diviso Annie dal padre, qui è il contrario. La madre ha sempre cercato di non far mancare nulla alla figlia, assicurandole (per quanto possibile e con tutte le difficoltà del caso – non vivevano nell’oro!) formazione e opportunità, sbagliando però completamente i modi.

“Temendo di non essere amata per se stessa, sperava di esserlo per ciò che dava”.

E così ad Annie è mancato forse l’amore più semplice, quello fatto di complicità e condivisione anche delle piccole cose, la comprensione, l’affetto gratuito senza aspettarsi niente in cambio. Ne prende consapevolezza, non lo giustifica ma cerca di capire.

“Cerco di non considerare la violenza, gli eccessi di tenerezza, i rimproveri di mia madre soltanto come tratti peculiari del suo carattere, ma di situarli all’interno della sua storia e della sua condizione sociale”.

Annie non riesce però a conservare della madre immagini affettive, non può (e ci credo!!!).

Ognuno ha la sua storia fatta di gioie e sofferenza, un vissuto che ha necessariamente delle conseguenze sulla nostra vita, esperienze che ci segnano e che non possono essere cancellate da una morte. Indubbiamente le 99 pagine di Una donna fanno riflettere ancora una volta (l’ho detto anche per Il posto) su quanto siano importanti i rapporti che viviamo e la capacità di lasciare un segno sulle persone a noi care, che sia un figlio, un cugino, un parente lontano, un amico.

Invecchiando si cambia (solo verso la fine del racconto di Annie si percepisce un piccolo barlume di complicità) ma non basta a cancellare il dolore e tutti quegli strati di rancori accumulati. La vecchiaia, aihmè, porta spesso anche delle malattie ed è ciò che è successo sia al padre sia alla madre di Annie, una degna (ma chi sono poi io per dirlo!?) conclusione del percorso di dolore di questa famiglia.

Se scrivere ha fornito all’autrice la consapevolezza della perdita dell’ultimo legame che la teneva unita al mondo da cui proviene, sono felice per lei ma a me ha messo una grande tristezza.
Non so infatti se ce la farò ad andare ancora avanti coni suoi libri.

So che in tanti la amate e quindi datemi un motivo per cui dovrei continuare a leggerla.

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