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Se questo è un uomo di Primo Levi

Tra le testimonianze giunte fino a noi sull’orrore dell’olocausto, “Se questo è un uomo” di Primo è la LETTURA delle letture, quella che con linguaggio sobrio e pacato racconta le gigantesche macchine della morte ai danni degli ebrei (e non solo), i Lager tedeschi.

Ho letto “Se questo è un uomo” con un misto di riverenza e dolore, pronta a tutto e come se mi trovassi di fronte a una storia nuova, come se non l’avessi già vissuta attraverso gli altri innumerevoli libri che ho letto nel corso del tempo, a partire dal Diario di Anne Frank.

“Se questo è un uomo” è anche poesia, elegia del dolore. Vi ho trovato un deliberato non coinvolgimento emotivo (lo stesso Levi, in appendice al libro, dice che ha scelto di non apparire vittima lamentevole e irata, ma con linguaggio obiettivo preparare il terreno al giudice, cioè a tutti noi) e allo stesso tempo la sua innata capacità di scrivere colpendo le corde più profonde del lettore.

Primo Levi, ventiquattrenne, chimico torinese, fu catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre del 1943 e ha inconsapevolmente deciso di scrivere per noi proprio mentre si trovava nel Lager di Buna-Monowitz dove, quasi alla fine della sua prigionia, ha avuto il privilegio di lavorare in un laboratorio chimico.
Invece di spingere e sollevare pesi al ghiaccio (come avvenuto per lunghi mesi), ha avuto la possibilità di stringere tra le mani un quaderno e una matita, con l’opportunità quindi di poter “scrivere quello che non saprebbe dire a nessuno”.

Il libro che tutti oggi consociamo è stato poi effettivamente scritto al ritorno a Torino, quando Levi diede effettivamente voce a tutto l’orrore vissuto, pubblicando con successo solo nel 1958 con Einaudi.

Levi con “Se questo è un uomo” ci dona non solo il dolore del suo vissuto, ma l’immagine dell’inferno e della demolizione dell’uomo, già a partire dal viaggio in cui ognuno “viene spogliato della propria dignità” diventando “pezzo”, merce di dozzina in viaggio verso il nulla, verso il fondo.

Il vagone in cui ha viaggiato Levi, costituto da 45 persone, ha rivisto tornare a casa solo quattro persone e con alcune di esse,sopravvissute, Levi ha mantenuto un rapporto negli anni, tornando anche ad Auschwitz, nei luoghi dello scempio, nel 1965.

Tra una pagina e l’altra di dolore, rassegnazione, torture inimmaginabili e demolizione dell’anima, in “Se questo è un uomo” si trova anche la speranza dei gesti umani, la sensazione di avere fatto qualcosa di utile, di un mondo giusto al di fuori dell’inferno vissuto.
E se anche i personaggi delle pagine di “Se questo è un uomo” non sono uomini perché la loro umanità è sepolta, c’è un Lorenzo UOMO che grazie alla sua umanità pura e incontaminata, al di fuori di quel mondo di negazione, ha ricordato a Levi di essere egli stesso un uomo.

Quando Levi è tornato ad Auschwitz (luogo costituito non da un solo Lager ma da ben quaranta campi di concentramento, tra cui quello di Birkenau e il campo di Monowitz dove fu portato Levi), non ha provato una grande impressione, come ha raccontato più volte nel corso delle sue testimonianze e interviste, perché ormai trasformato in una specie di monumento nazionale. Ha provato, invece, una grande angoscia nel visitare quello di Birkenau dove niente era cambiato. Era con lui Giuliana Tedeschi, superstite di quel campo, della quale ho letto “C’è un punto della terra“, tra i documenti più alti e più puri scritti da una donna, per quanto riguarda l’orrore del Lager.

Ciò che soprattutto colpisce nelle pagine della Tedeschi è la volontà di resistere e sopravvivere: mentre le donne lavorano, stremate, nelle cave di sabbia, si aiutano richiamando alla memoria i racconti di Cechov e Maupassant, le leggi fisiche di Newton e cantando motivi di Bach, Mozart e Beethoven.

 

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