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Out of time: lettera da una linea d’ombra

Non sai quante volte mi sono chiesto cosa avresti fatto tu, oggi, in questa giornata piovosa, con almeno cinque risposte importanti in attesa. Anzi cosa avrebbe fatto lei, perché del tu non ti ho mai dato. Ma oggi mi sa che mi posso azzardare, visto che da ieri sei Near Wild Heaven e non facciamo parte più dello stesso mondo.

Eppure prima di oggi me lo sono chiesto tante volte, cosa avresti fatto tu: ogni volta che ho dovuto prendere una decisione scomoda, ma necessaria per la mia azienda. Ogni volta che ho guardato negli occhi un ragazzo con zero esperienza ma con tanta voglia di fare e gli ho affidato un pezzo di quello che avevo creato. Tutte le volte che ho preferito lasciare soldi per investire questo lavoro che più che un lavoro è una missione.

Perché non lo fai per i soldi. No, se ti imbarchi in questa avventura è perché non puoi smettere di costruire. Hai la brama di mettere un mattone dopo l’altro. Come hai fatto tu.

“Hai le capacità per lavorare con me? Sei sicuro di riuscire a darmi quello di cui ho bisogno?” C’era la neve quel giorno. Dallo sportello aperto della mia macchina, le casse suonavano Radio Song dei REM. Io scalciavo dei pezzi di ghiaccio con le mie Doc Martens mentre dall’altra parte del telefono c’era un uomo che stava pensando se affidarmi una parte importante dell’azienda che aveva costruito dal nulla. Un impero.

Risposi di sì, convinto. Ma al telefono è una cosa, dal vivo un’altra. Avevo appena creato la mia società. Non ne sapevo niente io di cosa significava fare l’imprenditore, ecco perché poi quando ho dovuto ribadire quel sì di persona, il 5 gennaio del 2011, un po’ me la facevo addosso.

Me l’hai letta in faccia, la voglia che avevo di fare. E che avevo le capacità l’hai capito in un attimo: ero io che non lo sapevo.

Chissà perché proprio stasera finalmente ho voglia di parlare di questo libro, che è lì a prendere polvere da anni. Mi fu consigliato ai tempi dell’università. L’ho letto, ma mai amato davvero  “La linea d’ombra” di Joseph Conrad. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la storia di una nave in panne, con un equipaggio sfinito, guidata da un giovane che è costretto a prendere il posto di un capitano con esperienza. Il tutto da un momento all’altro.

Condurre una nave in porto significa diventare grandi. Né più né meno.

Accettare che tutte le persone che nella vita ti hanno insegnato qualcosa piano piano se ne andranno e non torneranno più.

Significa perdere per sempre una parte di se stessi: Losing My Religion, appunto.

Io non ho avuto un’infanzia difficile, amici scapestrati, famiglia disagiata: nulla di tutto questo. Ho potuto studiare, cazzeggiare, perdermi, ritrovarmi. Ma porca miseria, nel lavoro avevo voglia di farmi da solo, in questi anni di crisi costante, spread, recessione, pil in calo, in cui le risposte sembrano non arrivare mai, proprio come in questo giorno pieno di pioggia.

La mia personale linea d’ombra non era scritta allo scoccare dei 18 anni, ma nel preciso momento in cui avrei trovato il mio percorso nel lavoro.

Per oltrepassare questa linea avevo bisogno di quella fiducia che oggi provo a dare agli altri, cercando di non mostrare le mie debolezze: sempre sorridere dei guai, Shiny Happy People. Me l’hai data per tanti anni questa autostima, poi le nostre strade quando è stato giusto si sono divise. Anche questo era scritto: io ti ho aiutato a sistemare le vele della tua grossa nave, tu mi hai aiutato a rendere solida la mia piccola caravella.

Avrò le capacità di condurla in porto in tempi di acque agitate?  Mi piace pensare che, dal luogo out of time in cui ti trovi, tu abbia già tutte le risposte. E io son sempre qua, a farmela un po’ addosso per poi ripartire più forte e affamato di prima.

Treno regionale Bologna – Prato
24 ottobre 2019 – ore 19,52

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