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Editori che ricompensano e lettori che influenzano: è questa l’unica via?

L’ articolo di Francesco Giubilei, pubblicato su “Il Giornale”, ha innescato una bella serie di botta e risposta da parte di chi si è sentito chiamato in causa. Addirittura l’autore ha scritto un secondo articolo sul portale “Cultora” in cui chiarisce meglio alcune posizioni e che effettivamente abbiamo apprezzato più del primo.

Le influencer che incontriamo ogni giorno e la difficoltà per le aziende di misurarne i risultati

L’argomento ci sta molto a cuore non tanto (o non solo) per il nostro progetto su queste pagine, ma perché – forse qualcuno di voi lo sa – lavoriamo in ambito digital e in particolare proprio io (Marco) mi trovo ad avere a che fare con vari tipi di influencer nel rapporto quotidiano con i clienti, principalmente piccole e medie imprese nel settore fashion. Il giro è questo: le aziende regalano o fanno indossare capi in forma gratuita (stesse modalità delle copie omaggio per i libri, per intenderci) in cambio di una serie di post o Instagram stories, attraverso le quali sperano di far conoscere il prodotto e vendere di più. Questo vale per le cosiddette micro-influencer, mentre quelle che superano i 10.000 follower (la fantomatica soglia dello swipe up delle Instagram stories) spesso vengono messe sotto contratto. Più alto è il numero dei follower, maggiore è il budget che l’azienda alloca per ingaggiare l’influencer di turno.

Che si parli di micro o mega, il fatturato che queste figure portano all’aziende non è mai tracciabile al 100%: il metodo di misurazione del ROI (ritorno di investimento) più veloce è quello che in e-commerce viene definito tasso di conversione (vedo la foto dell’abito indossato dalla influencer su un social, lo clicco, lo metto nel carrello e poi lo compro), ma non è l’unico.

Ad esempio, un aspetto praticamente impossibile da misurare fino in fondo è l’impatto di questo tipo di azioni sulle vendite tramite negozio fisico, marketplace online (Amazon, Yoox) o nella reputazione generale del brand. Ecco perché, quando ho letto Giubilei affermare con certezza che i book blogger non spostano le vendite, avvalorando questa tesi non con dati precisi ma con un generico “lo dimostrano molteplici esperienze”, ho pensato inizialmente che fosse una grave omissione da parte sua. Riflettendoci meglio, penso tuttavia che sia difficile dare queste informazioni “al centesimo”, proprio per la difficoltà di incrociare i report e gli aspetti di natura intangibile che ho descritto prima.

L’approccio degli editori e dei lettori

Il sistema non credo sia tanto diverso nell’editoria. Moda, letteratura, viaggi: poco cambia il settore. Molto dipende secondo me dall’approccio generale dei due attori in gioco: editori e lettori.

Esattamente come le case editrici più lungimiranti si stanno trasformando (anche) in media company, i lettori oggi sono parte proattiva, in un meccanismo di passaparola che va avanti sul web nello stesso modo in cui anni fa poteva avvenire davanti a un buon caffè. Qui c’è un altro punto un po’ provocatorio nell’articolo di Giubilei, in cui sottintende che possono consigliare (e quindi influenzare, qui la differenza è davvero sottile) opere letterarie solo coloro che hanno la preparazione per farlo. Capisco che un libro non abbia il valore culturale di un abito di pronto moda (va beh, se ne potrebbe discutere), ma restando all’ambito artistico, non è che per consigliare un disco o una canzone si deve essere diplomati al conservatorio col massimo dei voti. Specie con il secondo articolo Giubilei chiarisce che non è tanto questo a dargli noia: è proprio il circolo vizioso che si viene a creare fra lettori e editori, quello che molti definiscono portatore di “marchette”.

L’importanza di essere spontanei e preparati

Alcuni lettori con profili Instagram ben curati (sottolineo, alcuni) possono diventare come le ragazze che nel fashion mostrano un certo appeal nell’indossare capi: contattano loro (o sono contattati, fa zero differenza) le case di moda (editori) e ricevono l’abito (libro) in omaggio. Da lì poi scatta la storia o il post dove si loda a prescindere il prodotto appena avuto in gentile omaggio.

Si, ma con quale spontaneità?

Non ho mai visto una fashion blogger rifiutarsi di indossare un capo spedito da una casa di moda, mentre onestamente non so se esistono book blogger che, nella stessa situazione, hanno il coraggio di dire che quel libro non è piaciuto. Spero proprio di sì, perché oltretutto dovrebbe essere più semplice farlo per un libro: se un autore non è di mio gradimento può essere per questioni del tutto personali e affermarlo con chiarezza può servire a farlo scegliere proprio a chi ha gusti diversi dai miei. Io ad esempio adoro Joyce, Ulisse e i suoi fluire di coscienza: per Viviana invece hanno lo stesso effetto che a me può fare l’autotune della musica trap. De gustibus.

Parlare di libri è esattamente il motivo per cui anche noi siamo qui.

Lo facciamo per divertimento e per passione, perché è bello avere qualcosa in famiglia di cui discutere che non siano solo impegni di lavoro o la scuola della bambina. Lo facciamo su internet perché siamo fatti così, portati alla relazione e al confronto. Andiamo alle fiere letterarie (non tutte), frequentiamo gruppi di lettura (qualche volta, a Bologna… poi beviamo del buon vino) , siamo a volte un po’ sfacciati, ma più di ogni cosa ci piace conoscere le persone che ci sono dietro a quei profili, quelle con la P maiuscola, per citare il libro “Community Manager – Dietro le reti ci sono le Persone” di Osvaldo Danzi e Giovanni Re, di cui vi parleremo presto anche per il punto di vista oserei dire dissacrante nei confronti del mondo delle influencer.

“Un pranzo con un contatto della propria rete di Persone vale più di 1000 mail”

afferma Osvaldo Danzi. Ha ragione: ci credete se vi dico che con una persona, con cui condividiamo le stesse passioni in questo mondo virtuale, siamo diventati amici e abbiamo già fatto affari con le nostre rispettive attività di famiglia, che non c’entrano nulla col mondo dei libri? Eppure anche noi siamo in quel calderone che Giubilei definirebbe più bravi a scattare una foto che a parlare di libri con cognizione di causa!

Oltre lo schema degli editori che ricompensano e dei lettori che influenzano

Anche gli editori però, se vogliono essere media company culturali, devono essere sempre più capaci di capire le differenze fra chi può dare loro una mano in maniera spontanea e chi diventare una sorta di “pozzo senza fondo” per le loro casse. Le direttive, nella linea di comunicazione e la cura della community (altro tema caro al libro appena citato), dovrebbero avvenire sempre dentro l’azienda e non essere affidate, senza controllo, a un gruppo di influencer che magari sono arrivati a Xmila follower grazie a qualche bot (posso indicarvene diversi, se ci volete arrivare in poco tempo, basta pagare) e che possono diventare schegge impazzite e fuori controllo.

Prendiamoci allora le responsabilità da ambo le parti, editori con il potere di ricompensare chi influenza e lettori con il potere di influenzare chi è meno influente.

Ci è piaciuto il riferimento di Giubilei ai blog letterari di una decina d’anni fa, al fatto che scrivere (o fare video su Youtube, perchè no!) potrebbe aiutare ad mantenere alto il livello degli argomenti rispetto a una storia di Instagram che dura 24 ore. Ma allora perché non è proprio qualche editore illuminato a proporre questa sorta di agorà, come dibattito delle idee, lanciando e monitorando i contenuti dall’alto della propria preparazione sul tema? Perché invece che in influencer ad minchiam non investono in una o più figure che coordinino le discussioni fra critici illuminati e nuovi appassionati? Ne trarrebbero giovamento tutti: in fondo, se oggi un cliente soddisfatto è il primo commerciale di un’azienda, potrebbe esserlo anche il lettore per una casa editrice.

Post scriptum
Proprio perché non ci pare di aver fatto la morale a nessuno, lo diciamo a chiare lettere: qualche copia omaggio, quando ci gira, la chiediamo anche noi.

Ma proprio perché siamo diretti, fidatevi se affermiamo che sono molti di più i libri che riceviamo senza averne fatto richiesta. Inoltre, proprio perché conosciamo bene gli strumenti, non abbiamo mai usato bot per la crescita: se fra i nostri trovate follower fake (no foto di profilo, provenienza da paesi improbabili, zero post, zero follower) vi assicuriamo che è un puro caso. Quelli che abbiamo sono tutti veri: per questo forse è più facile diventare amici fuori dal web. Così è, se vi pare.

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