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Sarti Antonio: il noir italiano, oggi e quarant’anni fa

Diciamo che il noir sta a ‘Scatti dalla mia libreria” come l’assassino al noir. Gira e rigira, è una certezza: possiamo divagare in altri generi, ma non c’è nulla che ci colpisca di più della figura del commissario, di una scena del delitto complicata e di indagini serrate. Siamo fatti così.

Colpa nostra allora se non avevamo mai condiviso niente di Loriano Macchiavelli e del suo sergente Sarti Antonio. E non sono solo pecche letterarie. Ci siamo spesso mostrati innamorati di Bologna: ebbene, tutte le storie di Macchiavelli hanno come protagonista la città felsinea. Inoltre Sarti è il cognome di Viviana, ed in qualche modo è un’aggravante anche questa.

Lo dico con cognizione di causa perché fu proprio il cognome e le due torri in copertina a ispirare la mamma di Viviana nel 1985 ed acquistare il libro che ho letto con piacere durante il mio ultimo periodo in Sicilia. “Sarti Antonio – Un diavolo per capello” è in realtà una raccolta di tre racconti lunghi: il primo dà il titolo al libro, il secondo è “Caccia tragica”, il terzo “Rapiti si nasce”.

All’inizio non sapevo cosa aspettarmi: i film polizieschi di quell’Italia fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 erano densi di violenze, rapine e tensioni politiche. Ricordate Franco Nero e la sua Italia a mano armata? Si trattava degli anni di piombo, che l’autore tiene sullo sfondo rispetto al mondo di Sarti Antonio, perlomeno in quello che ho letto io.

Sarti Antonio (sempre chiamato per cognome e nome) è un “questurino” dalla memoria fotografica e dall’intuito certamente rivedibile che in ogni caso ha bisogno di avere a fianco il fidato amico Rosas, studente universitario con cui ha un rapporto di odio-amore. Ciò che manca all’uno viene compensato dall’altro e alla fine la soluzione arriva sempre. Nel mezzo ci sono alcuni leit-motiv comuni a tutti i racconti: la presenza di una femme fatale, il commissario superiore di Sarti Antonio che è perennemente incazzato, Rosas che arriva alla soluzione prima di lui, centinaia di caffè presi ovunque.

Bologna, la Questura, il rapporto con superiori che non lo credono una cima, pupe che si infilano in casa sua in abiti succinti: c’è molto di Carlo Lucarelli e del suo Coliandro, che in un qualche modo devono aver tratto ispirazione da Macchiavelli e dal suo anti-eroe per costruire il mondo dell’ispettore più imbranato dei nostri giorni.

Tornando a Sarti Antonio, mi piace sottolineare lo sguardo quasi cinematografico del narratore: Machiavelli ci parla in prima persona quando il suo personaggio rimugina fra sé, mente passa alla terza quando ritiene ci sia bisogno di tirare le somme della vicenda. Altre volte invece è proprio Sarti Antonio a diventare l’io narrante.

Personalmente ho sempre apprezzato gli autori che sanno diversificare i piani narrativi. Significa amore per il proprio personaggio, lo stesso mostrato da altri scrittori noir: Camilleri, Lucarelli, Vichi, Carofiglio, De Giovanni. In ognuno dei loro eroi si può trovare qualcosa di Sarti Antonio, chi più chi meno.

Forse è solo quell’irresistibile debolezza, tutta italiana, di mostrarsi uomini prima che tutori della legge.

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