Ho molto apprezzato il romanzo di esordio della scrittrice statunitense che ha lavorato per ben 10 anni alla sua Canzone di Achille, una ricostruzione romanzata e romantica delle vicende narrate dal grande poema omerico. Un lavoro che forse i “puritani” e studiosi dell’Iliade potrebbero non apprezzare completamente ma che invece, a mio parere, ha il potere di far innamorare della mitologia, degli dei e degli eroi chi si è sempre tenuto alla larga con diffidenza da questa materia non sempre facile.
Sicuramente in tanti conserviamo i ricordi della scuola, di quei lunghi poemi in versi spesso indecifrabili e che, se non spiegati bene e con passione, potevano avere la capacità di far addormentare il giovane pubblico studentesco.
Leggendo La canzone di Achille, come anche Circe letto per primo qualche tempo fa, mi sono trovata a fare delle considerazioni, immaginandomi docente di italiano (avrei potuto farlo, se avessi scelto quella strada dopo la laurea in lettere classiche) sventolando i romanzi della Miller per far appassionare gli studenti, non per sostituire i versi omerici ma come supporto per delinearne anche le differenze.
Mi è quindi piaciuto molto il lavoro di ricostruzione fatto dall’autrice partendo da varie fonti e la sua capacità di andare oltre e di offrire un’immagine passionale dei vari personaggi, in particolare di Patroclo e Achille, i protagonisti di questo romanzo. Mi ha innanzitutto colpito il racconto in prima persona da parte di Patroclo, da tutti conosciuto (ripensando ai ricordi di scuola) come l’amante senza coraggio di Achille, quello che a un certo punto indossa le sue armi per spaventare i troiani. Una narrazione che si protrae fin dopo la morte, una cosa che credo di non aver letto mai in nessun libro: la sensazione di abbandonare questa vita, i pensieri mentre si sa di venire uccisi, il desiderio di non venire dimenticato…
E così pagina per pagina, attraverso Patroclo, si scoprono il suo carattere, le debolezze probabilmente dovute all’assenza di una madre, il suo esilio e l’accoglienza ricevuta a Ftia, presso Peleo padre di Achille.
Gli sguardi e i primi dialoghi tra Achille e Paride sono di una sensualità pazzesca: il loro modo di seguirsi, di arrossire, di cercarsi senza sapere perché…
Coraggioso il modo in cui Achille lo sceglie come Therapon (compagno d’armi legato a un principe da un giuramento di sangue e amore) “perché è sorprendente”, fregandosene dei giudizi degli altri, persino della madre Teti.
La storia tra Patroclo e Achille è un crescendo di passione e conoscenza. Anche quando arriva il momento di combattere per Elena, sembra che al centro continuino ad esserci la loro passione, la cura dell’uno verso l’altro, l’indifferenza verso le estenuanti lotte, la pestilenza e la morte intorno a loro.
La storia della guerra di Troia la conosciamo tutti; a grandi linee anche i non appassionati sanno dei lunghi 10 anni trascorsi dagli achei davanti alle mura dei nemici per una guerra che sembra non avere mai fine.
Tutti ricordano sicuramente la mossa di Patroclo per salvare l’onore del suo amato:
Come anche la sua morte sul campo, il grido disperato di Achille.
“Un urlo che lacera ogni cosa…”
L’autrice ha liberamente interpretato alcune vicende romanzandole per esaltare l’amore dei due uomini, un amore che va oltre la morte. Achille ha solo occhi per Patroclo che, ormai morto, continua a cullare piangendo…
Le parole di Patroclo continuano anche dopo la morte. Di struggente bellezza la descrizione che fa della lancia di Ettore infilzata nel suo addome:
Philtatos, il più amato è morto e Achille chiede che le sue ceneri vengano mescolate a quelle di Patroclo, quando anche lui morirà trafitto dalla lancia di Paride.
La scelta di Madeline Miller di puntare tutto sull’amore dei due uomini, è di una poesia incredibile e se qualcuno storcerà il naso, pazienza…
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