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Febbre a 90° e We are the Champions: le ragioni di una passione

Ricordo ancora tutto di quella sera. Avevo nove anni, un amico con cui giocai a Subbuteo per l’intero pomeriggio emulando la finale, le prime immagini confuse dalla tv, il telefono che iniziò a squillare. Amici, parenti, vicini, persino la mia maestra delle elementari: “Tuo babbo è lì?”. Perchè tutti sapevano che in quelle occasioni spesso lui c’era, ma in realtà quella sera aveva solo lo sguardo spento e gli occhi pietrificati davanti a quelle immagini. Ebbe solo la forza di mettermi a letto. “E la partita?” gli chiesi, innocente. “Non c’è nessuna partita” mi disse, rimboccandomi le coperte, mentre mia mamma continuava a singhiozzare nell’altra stanza.

29 maggio 1985, Bruxelles, l’Heysel. Il mio Heysel, quello di un bambino che aspettava di vincere una Champions League (allora si chiamava ancora Coppa dei Campioni) e che invece toccò con mano per la prima volta la tragedia, il dolore, la morte per un tifo, un’appartenenza, uno schieramento.

Nick Hornby nel suo libro cult “Febbre a 90°” dedica all’Heysel un capitolo toccante, in cui oltre alla naturale compassione umana cerca di analizzare quanto avvenuto: i 39 morti avvennero per schiacciamento, non in seguito a ferite di altro tipo. Era una pratica molto rischiosa per provocare schermaglie, molto inglese, che portò anni dopo ad una tragedia ancora più grande come dimensioni di vittime, quella dello stadio Hillsbrough di Sheffield nel 1989, anche questa raccontata nel libro. Ci furono 95 morti, più del doppio rispetto all Heysel. Come racconta Federico Buffa in una delle sue mirabili storie, fu lì che la Thatcher ne ebbe abbastanza: il calcio inglese che vediamo oggi, con stadi ed erbe perfette, nasce dal giro di vite deciso quella sera.

A Bruxelles i tifosi inglesi spingevano, quelli italiani si schiacciavano e morivano contro un muro. La colpa? Certo, degli Hooligans. Ma molto anche della (dis)organizzazione belga, che decise di adibire una curva a entrambe le tifoserie, incoscienti evidentemente anche solo della fama che avevano i tifosi d’Oltremanica al tempo.

Un padre con un figlio di 10 anni furono ritrovati insieme, morti abbracciati. Potevo essere io, con mio padre, l’uomo che la domenica non c’era mai perchè spesso affrontava lunghi viaggi da Prato a Torino. Io rimanevo dai nonni, mi rifugiavo nei vinili di Aretha Franklin e dei Led Zeppelin mentre tenevo lo sguardo rivolto a “Domenica In”, sperando che passassero buoni risultati in sovraimpressione. Poi iniziò a portare allo stadio anche me e da lì è iniziata la passione, quella che Nick Hornby descrive in “Febbre a 90°” partendo dall’idea che “tutti abbiamo una buona ragione per amare ciò che amiamo”.

Il mio amore per i dischi nasce dall’assenza, la passione per il calcio dalla presenza, dalla prima vera cosa in comune con un genitore troppo grande, troppo impegnato.

Da allora abbiamo gioito (molto) ci siamo guardati delusi (meno) commentando i risultati, come Nick Hornby forse avrebbe forse voluto fare con suo padre ma non è mai riuscito. A lui la passione è trasmessa per caso da un genitore che se ne era andato di casa anni prima e che lo porta allo stadio così, per passare un sabato con il figlio che non vede mai, esattamente come andare allo zoo o al cinema. Una squadra vale l’altra, ma Nick diventa tifoso dell’Arsenal e quando il padre si stufa e vuole fare qualcosa di diverso, il ragazzino spiega in maniera chiara (ancora meglio nella divertente trasposizione cinematografica del libro, con protagonista Colin Firth, donne fatevi avanti) come lui non supererà mai quella fase. C’è già troppo dentro, o meglio, come si direbbe di questi tempi, è stato contagiato.

Neanch’io in fondo l’ho mai superata, perchè questo è davvero un virus da cui non si guarisce.

Come dice lo scrittore inglese, “antropologi e sociologi hanno avuto il loro bel da fare col calcio”. Ancora mi trovo a 44 anni a vivere questi giorni di fine maggio con tristezza, non solo per l’Heysel, ma anche per tutte le finali di Champions perse dalla mia squadra del cuore: forse avrei dovuto capirlo già quella sera del 1985 che non sarebbe stato facile vincere quella coppa maledetta, neanche in futuro. Ricordo però anche tante (forse troppe) vittorie, alcune insperate come il 5 maggio. Al successo di un campionato inatteso per la sua squadra, Nick Hornby dedica un capitolo memorabile, forse quello focale dell’intero racconto. “Il più grande momento in assoluto”, lo intitola, rimarcando come l’emozione di questa gioia inaspettata non abbia pari con nient’altro nella vita. Il motivo? Tutte le altre situazioni che possono rendere un uomo felice presuppongono un’azione in prima persona, dalla nascita di un figlio al successo sentimentale o lavorativo. In questa no, non si può contribuire con nulla, se non con il proprio tifo. Non sono così assolutista, ma neanche ipocrita al punto di negare che l‘esito di una partita o di una stagione possa influire pesantemente (e momentaneamente, ovvio) sul mio umore.

Il calcio è passione, gioia inaspettata, ansia costante ma anche dispiaceri lancinanti. La musica è puro godimento, anche perchè quella che non ti piace semplicemente la escludi, non la ascolti.

Le canzoni dei Queen che amo per me sono gioia, tutte tranne “We are the champions”. Quella… dipende. Contenuta in un album bellissimo e dal suono grezzo come “News of the World” (era il 1977, altro che glam rock, bisognava fare concorrenza al punk) fu scritta da Freddie Mercury non solo per autocelebrazione, ma pensando al moto popolare del calcio. Questo brano e “We will rock you”, pezzo di apertura dell’album, chiudevano i concerti dei Queen e facevano da colonne sonore a tanti eventi sportivi, calcistici in primis. Se alla fine della partita decisiva per l’assegnazione del campionato o di una finale (a maggio) avevi voglia di ascoltarla mentre i tuoi beniamini facevano il giro di campo, allora ti era andata bene, esisteva solo quella canzone, la rimettevi altre mille volte in cassetta nei giorni seguenti. Altrimenti in “News of the World” saltavi direttamente al terzo brano, “Sheer Heart Attack”, un bel pezzone rock dalla chitarra martellante che non ti avrebbe costretto a pensare.

Oggi il calcio è ancora tifo, ma soprattutto un’industria, la terza del paese per indotto. Attenzione prima di dire che con tutti i problemi che ci sono in Italia, chi se ne frega del calcio. Lo stadio della mia squadra, anche nei giorni non di partita, dà lavoro a quasi mille ragazzi fra steward, inservienti e addetti vari. Diventa un centro per eventi e congressi, altro che i gradini del vecchio Comunale di Torino degli anni ’80 in cui mi sedevo con mio babbo mangiando panini con la frittata. E’un calcio diverso da quello che racconta Nick Hornby in “Febbre a 90°”, forse più sicuro ma certamente meno genuino, meno passionale.

A giugno riparte il campionato. Forse questa è la cosa meno importante fra le tante che sono successe in questi mesi, ma forse la più importante per lanciarci il segnale che potremmo esserne fuori.

No, non mi è mancato il calcio, non ho particolare voglia che riprenda, ma so che continuerò a tifare appena ripartirà. E quando a luglio o agosto sarà finita un’altra stagione, deciderò se fare di “We are the champions” la colonna sonora di quel che resta della mia estate, oppure dimenticarla per un po’.

Di certo, nell’estate del 1985, nessuno ha avuto voglia di cantarla davvero. Tranne Freddie durante il Live Aid.

 


 

Bruxelles, 29 maggio 1985
Finale di Coppa dei Campioni
Juventus – Liverpool

Le vittime dell’Heysel:

Rocco Acerra (28)

Bruno Balli (50)

Alfons Bos (35)

Giancarlo Bruschera (35)

Andrea Casula (10)

Giovanni Casula (43)

Nino Cerullo (24)

Willy Chielens (41)

Giuseppina Conti (17)

Dirk Daeneckx (27)

Dionisio Fabbro (51)

Jaques François (45)

Eugenio Gagliano (35)

Francesco Galli (24)

Giancarlo Gonnelli (45)

Alberto Guarini (21)

Giovacchino Landini (49)

Roberto Lorentini (31)

Barbara Lusci (58)

Franco Martelli (22)

Loris Messore (28)

Gianni Mastroiaco (20)

Sergio Bastino Mazzino (37)

Luciano Rocco Papaluca (37)

Luigi Pidone (31)

Benito Pistolato (50)

Patrick Radcliffe (38)

Domenico Ragazzi (44)

Antonio Ragnanese (29)

Claude Robert (30)

Mario Ronchi (42)

Domenico Russo (26)

Tarcisio Salvi (49)

Gianfranco Sarto (46)

Amedeo Giuseppe Spolaore (54)

Mario Spanu (41)

Tarcisio Venturin (23)

Jean Michel Walla (32)

Claudio Zavaroni (28)

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