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La solitudine dei primi Pink Floyd: infanzia e muri da abbattere

Nei miei ricordi d’infanzia, il muro di Berlino in musica è associato a “Another Brick in the Wall” dei Pink Floyd. Ricordo chiaramente la sensazione di inquietudine che mi provocava il video, con quei giganteschi martelli che marciavano e il coro degli scolari sul ritornello.

Nella mia adolescenza poi, quando il muro è crollato sotto i colpi del vento del cambiamento, quella colonna sonora è stata sostituita da “Wind of Change” degli Scorpions. Non poteva durare una vita l’associazione con i Pink Floyd, anche perchè sarebbe stata la legittimazione di un’inesattezza.

Il muro di cui parla il gruppo inglese nell’albume capolavoro “The Wall” (1979) non è infatti di tipo fisico, per quanto ce ne fosse uno ben conosciuto in quegli anni.

È il muro della solitudine, dell’incomunicabilità, dele barriere poste fra se stessi e il mondo esterno.

Esattamente quello che stava succedendo nel microcosmo dei Pink Floyd, di cui “The Wall” rappresenta l’ultimo capolavoro con tutti i componenti della formazione originaria.

L’album segue lo schema della rock opera, molto in voga in quegli anni, dai The Who ai Queen, per narrare attraverso due vinili indimenticabili la vicenda di Pink, una rockstar che a causa dei traumi subito durante l’infanzia, costruisce una barriera invalicabile fra i propri sentimenti e il mondo esterno.

La stessa durezza si avverte nei personaggi de “La solitidine dei numeri primi” di Paolo Giordano (2008), un romanzo che mette i due personaggi di fronte a un muro o due rette parallele, se vogliamo. Anche Alice e Mattia mettono su i loro personali mattoni a partire da eventi traumatici che ne segnano l’infanzia: un grave incidente sulle piste da sci per Alice, la scomparsa nel nulla della sorellina per Mattia. Si conosceranno da adolescenti, creando fra loro un legame particolare molto simile all’amore ma che forse non potrà mai esserlo.

Come numeri primi gemelli infatti risultano separati da un solo numero ma senza potersi mai incontrare.

Due opere diverse per epoca, contesti culturali e letterari, che in comune hanno uno sguardo particolare nei confronti dell’infanzia: un’età dolce e delicatissima, perchè tutto il bene e il male che un uomo riceve nella vita è per forza una conseguenza di quello che ha vissuto (o subito) da piccolo.

L’unica speranza di salvezza é forse in quei due aggettivi così vicini e perfetti, eppure mai accostati prima, come fossero due numeri primi.

“Comfortably Numb”, binomio che dà il titolo al brano più emozionante dell’album se non dell’intera produzione dei Pink Floyd.

Sentirsi “piacevolmente intorpiditi”, abbandonarsi ai pensieri e cercare di abbattere i muri: vale per tutti gli Alice e Mattia di questo mondo, quelli che hanno dovuto costruire una barriera con l’esterno per murare il proprio incubo nel cassetto.

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