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Infanzia di Tove Ditlevsen

Ho terminato da poco il primo capitolo della trilogia di Copenaghen, Infanzia (Fazi editore), e desidererei avere già tra le mani gli altri due romanzi autobiografici di Tove Ditlevsen.

Nell’ultimo periodo (che casualità!), mi sono trovata a leggere diversi romanzi autobiografici o sulla vita di donne che hanno vissuto un’infanzia fatta di silenzi e incomprensioni; storie di bambine che diventano ragazze e poi donne con una solitudine di fondo molto angosciante eppure spinte da una grande forza per rimanere se stesse e magari diventare qualcuno.
Tutte accomunate (ecco perché dico “che casualità!”) dalla voglia di scrivere o studiare, fuggire da una realtà non scelta ma imposta, far emergere il vero io pensante.

Donne che già da bambine trovano nei libri e nelle parole la spinta per immaginare una vita migliore.

“Mi sembrava che i miei versi coprissero le crepe della mia infanzia” (Tove)

I libri a cui mi riferisco e che si aggiungono a Infanzia di Tove, sono “Niente di vero” di Veronica Raimo, Trema la notte di Nadia Terranova e La Tigre di Noto di Simona Lo Iacono.

La vita della bambina Tove, come anche quella delle altre donne raccontate nei romanzi citati, che siano autobiografici o meno, appaiono come un percorso verso l’età adulta fatto di ostacoli e prove continue da superare.

“Mi sento straniera in questo mondo”

Trovarsi in un contesto (famiglia, paese, scuola, amicizie) in cui non si ha la possibilità di esprimere i veri pensieri e attitudini, di far emergere la propria anima per quello che è, provoca un senso claustrofobico importante, un’inquietudine che attraversa le 123 pagine di Infanzia e che si placa solo attraverso la poesia.
Tove scrive versi sin da bambina creando un mondo fatto di tutto l’amore che ha sempre cercato invano dalla madre, di bellezza, di emozioni e farfalle nello stomaco, quelle che non ha mai provato per nessuno ma che lei riesce a immaginare benissimo.

“Anche se i miei versi non piacciono a nessuno, non posso fare a meno di scriverli perché leniscono il patimento e gli aneliti del cuore”.

La cosa sorprendente è leggere, nelle ultime righe di un’Infanzia “incompresa”, che Tove, guardandosi indietro, pensa di essere stata molto felice nonostante il “doloroso senso di eternità dell’infanzia”.

Si appresta all’età adulta (che leggeremo nel secondo volume della trilogia) con sguardo melanconico ma allo stesso tempo ricco di speranza, perché qualsiasi esperienza vissuta, bella o brutta che sia, è una conoscenza dalla quale attingere per tutta la vita.

Volò una farfallina
Su nell’azzurrità,
Buonsenso irridendo,
Decoro e dignità.

Ebbra di primavera,
Nel suo tremulo volo,
Del sole gli aurei strali
La condussero al suolo.

Su un roseo fior di melo,
Sul ramo rigoglioso,
Volò la farfalletta
E trovò un leggiadro sposo.

Il fiore si rinserrò,
Mai più ardite ascese.
Piccini, grazie a voi,
Imparai l’amor cortese.

Ho apprezzato molto le poesie che Tove regala in mezzo al suo racconto di vita, e apprendere tra i versi malinconici anche aspetti politici del mondo danese negli anni ‘30, tra cui Thorvald Stauning, un politico danese, esponente del partito socialdemocratico e primo ministro della Danimarca.

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